Italia e Italie

Abbiamo tratteggiato molto rapidamente le vicende della nostra penisola nell'età moderna, dalle guerre d'Italia all'Unità.

I punti sui quali soffermarci in particolare sono:

1. Le guerre d'Italia, la fine di un sistema di equilibrio tra gli stati italiani e l'irruzione di potenze straniere.

2. L'egemonia spagnola e poi austriaca e la relazione tra egemonie straniere e ceti dirigenti degli stati italiani

3. Le differenze di lunga e lunghissima durata tra diverse aree del paese, in particolare tra il Nord e Centro da un lato, e il Mezzogiono e le isole dall'altro lato.

4. Gli sviluppi distinti di quattro realtà statali: lo Stato della Chiesa, il viceregno e poi regno di Napoli/Due Sicilie, la repubblica di Venezia, lo stato sabaudo (ducato di Savoia, poi regno di Sardegna).

1. Fra il 1494 e il 1530/1559 la sorte del sistema degli stati italiani venne definita per più di tre secoli. Di fronte alle monarchie nazionali, all'Imperatore e anche a potenze militari come la confederazione svizzera i piccoli e divisi stati italiani non seppero fare mai fronte comune ed erano svantaggiati dalla debolezza degli apparati fiscali e  militari, che impedivano loro sia di sostenere il peso delle ripetute guerre sia soprattutto di vincerle. L'esito del duello tra la Francia dei Valois e Ferdinando d'Aragona prima e Carlo V d'Asburgo poi fu che l'intero meridione (oltre alle isole che già erano aragonesi) e il ducato di Milano passarono sotto la sovranità degli Asburgo di Spagna, ai quali la repubblica di Genova forniva un importante supporto logistico, navale e finanziario, e la Toscana, Parma e Savoia erano alleate.

2. Va sottolineato un punto: la dominazione spagnola venne complessivamente preferita dai ceti dirigenti dei diversi stati italiani perché garantiva a questi ultimi una più o meno massiccia partecipazione al governo locale e un notevole grado di autonomia amministrativa, giudiziaria, fiscale. Al contrario la dominazione francese si configurava come una soggezione all'autorità del re e dei suoi governatori e come una forte riduzione dell'autonomia dei ceti dirigenti italiani. Dimenticate la nozione risorgimentale di "malgoverno spagnolo". Nei domini spagnoli governavano gli italiani: baronaggio in Sicilia, burocrazia di giuristi e baronaggio a Napoli, aristocrazia e ceto mercantile lombardi a Milano. Se c'era malgoverno, era degli indigeni, non degli spagnoli, ai quali premeva ottenere le entrate fiscali rese necessarie dal continuo coinvolgimento della monarchia nelle guerre per la supremazia in Europa. Il peso della fiscalità, per ragioni complesse, era massimo a Napoli, minore a Milano e ancora minore in Sicilia.

Allo stesso modo, quando gli Asburgo di Vienna si insediarono in Lombardia nel 1707 e poi nel Lombardo-Veneto dopo il 1815, l'amministrazione austriaca fu tutt'altro che oppressiva, ma piuttosto paternalistica, progredita ed efficiente, e in ogni caso era gestita in larghissima misura da lombardi e veneti, mentre i ceti dirigenti locali avevano un peso preponderante e riconosciuto.

3. Già al tempo dei romani vaste aree del meridione e la Sicilia erano terra di latifondi, mentre la pianura padana era la terra della piccola proprietà indipendente. Geografia, clima, regime delle acque, orografia fanno naturalmente dell'area padana e di alcune aree centrali le zone più favorevoli allo sviluppo agricolo, mentre svantaggiano il meridione, soprattutto quello continentale.

L'Italia delle città è quella del Centro-Nord. Al sud la precoce affermazione e la costante riconferma di un'unità politica sotto il segno della monarchia, dai Normanni agli Svevi, dagli Angioini agli Aragonesi, dagli Asburgo ai Borbone ha frenato la crescita delle città e la formazione di una borghesia mercantile, imprenditoriale, finanziaria. L'Italia delle innovazioni, dell'espansione mercantile e marinara, della articolazione sociale, delle università, delle istituzioni repubblicane e poi signorili è quella del Centro-Nord: corrisponde al cuore della civiltà comunale prima e rinascimentale poi.  Esistevano dal Medioevo due Italie, con caratteristiche economiche e più ancora sociali differenziate: le conseguenze di questa antica frattura sono tuttora evidenti. All'interno dello stesso Centro-Nord esistevano poi aree particolarmente forti (le campagne piemontesi, Genova, la Lombardia, Venezia e il territorio circostante, Bologna e la Romagna, Firenze e Valdarno, Lucca, parecchi comuni marchigiani e umbri) ed altre più deboli. Così come per contro nel Meridione esistevano centri e aree attivi e in crescita. La differenza cruciale non stava tanto nei livelli di povertà (anche al Nord e al centro la grande maggioranza della popolazione viveva poveramente), quanto nella diversa articolazione della società e della vita civile, nei livelli di analfabetismo e nella presenza o meno di una tradizione produttiva, mercantile, imprenditoriale.

L'Italia era unita culturalmente dal Medioevo. La lingua comune dei colti, dei letterati, degli intellettuali, la diffusione di centri di studio superiore, la circolazione nelle diverse corti e università di persone e testi ha fatto sì che molto prima dell'unificazione nazionale esistesse già un'unificazione culturale. Riguardava una piccola minoranza, ma non per questo era meno significativa e importante. Al contrario intellettuali e artisti italiani hanno irradiato i frutti della civiltà cittadina e cortigiana medievale e rinascimentale in tutta Europa. E per alcuni secoli l'italiano è stato una lingua di cultura internazionale.

Un altro elemento di identità comune agli italiani era il cattolicesimo. La nostra penisola è stata una delle aree nelle quali la Riforma non ha preso piede. Era da sempre il centro della cristianità latina o occidentale, la sede del papato. Anzi, a mano a mano che il papato si consolidava ne traevano vantaggio i moltissimi italiani legati alla curia pontificia e alla Chiesa in generale. A ostacolare e reprimere i gruppi di riformati erano tanto le autorità laiche quanto quelle ecclesiastiche. Nessuno dei principi o dei ceti dirigente repubblicani italiani aderì alla Riforma. Perciò questa rimase un fatto di piccole minoranze, spesso intellettuali.

4. Lo sviluppo politico delle diverse aree del paese ha seguito percorsi distinti.

Nel Mezzogiorno continentale uno stato monarchico ha raggiunto sin dal XIII secolo i confini che mantenne sino al 1860: con dinastie di importazione dai normanni ai Borbone, i quali nel 1734 diedero infine vita a un regno autonomo. Ma la configurazione sociale del sud vedeva una capitale abnorme (Napoli era la terza città d'Europa dopo Londra e Parigi) povera di dinamismo economico, con i centri di spesa principali nella Corte e nella nobiltà, a fronte di un ceto medio indigeno principalmente burocratico e una numerosissima plebe sottoproletaria dipendente dalle elargizioni delle autorità. Nel Settecento Napoli fu uno dei principali luoghi di elaborazione di idee di riforma illuministiche: il ceto intellettuale napoletano era di livello europeo. Ma la scarsa articolazione sociale e il ritardo nelle trasformazioni produttive fecero sì che nella crisi della Rivoluzione francese avvenne una drammatica spaccatura tra il ceto intelletuale riformatore, che accolse i francesi, e la plebe rimasta filomonarchica e fanatizzata dal clero. L'esperimento della Repubblica partenopea del 1799 finì in un bagno di sangue che separò per sempre il ceto intellettuale napoletano e meridionale in genere dalla monarchia. La quale a sua volta anche dopo la restaurazione al potere nel 1815 si mostrò incapace di governare un processo di modernizzazione.

Lo Stato della Chiesa si costituì come entità politica, dal Reno e dal Po al Garigliano e al Tronto, fra Quattrocento e Cinquecento. L'annessione di Ferrara nel 1598 e quella di Urbino nel 1623 ne furono i completamenti. Il papa era anche sovrano. Ma l'amministrazione periferica restò largamente delegata ai ceti dirigenti locali, nobiltà terriera e patriziati cittadini, cosicché le differenze originarie tra le aree più avanzate come le Romagne e Bologna e quelle più arretrate come la campagna romana ne risultarono alla lunga accentuate: nell'Ottocento la Romagna divenne la parte meno controllabile dello stato. A livello centrale i diversi pontefici dovevano ricorrere a un personale di governo tratto in primo luogo dai parenti, che profittavano largamente dell'ascesa del congiunto al soglio pontificio. Dopo il 1523 tutti i pontefici furono italiani (sino al 1978); e nel passaggio dal Cinquecento al Seicento e poi al Settecento divennero papi personaggi sempre più di origine nobile e talvolta nati nello Stato della Chiesa.

La repubblica di Venezia tentò invano tra Quattro e Cinquecento di porsi come centro di aggregazione di un forte stato padano. L'aver prima costituito il suo impero coloniale (lo stato da Mar) e poi realizzato l'espansione nel Veneto e nella Lombardia (stato di Terraferma) e il fatto di trovarsi a confinare con i domini degli Asburgo a nord e a ovest, con la Chiesa a sud e con gli Ottomani in Levante imposero al patriziato veneziano di mantenere una ferrea compattezza e di costituire un apparato militare e amministrativo di terra e di mare imponente. Venezia era una media potenza nello scacchiere europeo e mediterraneo. Alla lunga però l'impero marittimo venne sbriciolato dagli ottomani e i tentativi di riconquista alla fine del Seicento fallirono. Nel contempo l'arrivo di francesi, olandesi e inglesi negli empori del Levante ridusse l'importanza del commercio veneziano. Il patriziato, di origine mercantile, divenne col tempo sempre più un ceto di proprietari terrieri, che acquistò estesi possedimenti nella Terraferma. Nel Settecento Venezia era ormai soprattutto una meta turistica, il cui carnevale era già un'attrazione europea.

I Savoia erano una dinastia francese, con domini a cavallo delle Alpi, dai dintorni di Lione sino alla valle del Po. L'ascesa e l'espansione della Francia la costrinsero a dirigere le sue ambizioni di ingrandimento nello spazio italiano, avendo come obiettivi l'acquisizione di uno sbocco al mare comodo (la Liguria quindi) e della ricca Lombardia. I Savoia riuscirono a imporsi sulla loro nobiltà e sulle città, realizzando uno stato assoluto modellato su quello francese ma in realtà assai più assoluto dell'originale. Imposero alla nobiltà anche una perequazione fiscale. Costruirono un apparato militare nazionale ben organizzato, anche se non irresistibile. Lo stato sabaudo non aveva una vita culturale frizzante e aperta e rimase chiuso alle idee illuministiche, ma vantava un centro di studi tecnico-scientifici, legati alle esigenze militari, di ottimo livello. A fine Seicento si stabilì un rapporto preferenziale con l'Inghilterra, che da allora sostenne diplomaticamente i Savoia. Nelle guerre di fine Seicento e del Settecento i Savoia riuscirono a guadagnare ampliamenti territoriali nella pianura padana, duventando una media potenza regionale, ma solo con il Congresso di Vienna ottennero finalmente (su spinta dell'Inghilterra) l'annessione della Liguria, cioè di basi navali, di una forte marineria e di un centro finanziario importante. Uno stato originariamente periferico e nemmeno del tutto italiano si trovò così ad essere nell'età dei nazionalismi il punto di riferimento dei sostenitori dell'unità politica della penisola, potendo vantare la struttura statale e socio-economica più solida.