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Paleontologia | Identificate le cause della più grande estinzione di massa nella storia della Terra

19/10/2020

Scienza, cultura e ricerca

Prima della comparsa dei dinosauri, circa 252 milioni di anni fa, alla fine del Paleozoico, la vita sulla Terra ha subìto la più grave estinzione di massa mai registrata. Fu un’estinzione rapidissima dal punto di vista del tempo geologico: nel giro di poche decine di magliaia di anni circa il 70% delle specie terrestri e il 95% delle specie marine sparirono.

Le cause di questa catastrofe senza precedenti sono state a lungo dibattute nel mondo scientifico, in particolare in riferimento a come e perché la Terra sia diventata inospitale per la vita così rapidamente.

Ora, una nuova ricerca pubblicata su Nature Geoscience e realizzata da un gruppo internazionale di scienziati italiani compresi anche ricercatori dell'Università di Ferrara e dell’Università Statale di Milano, fornisce per la prima volta un quadro unitario e convincente sui meccanismi che hanno portato a questa estinzione e sulle sue conseguenze. 

Le ricercatrici e i ricercatori hanno utilizzato come archivio la conchiglia di brachiopodi fossili, invertebrati marini con due valve che sono comparsi circa 500 milioni di anni fa e hanno dominato le comunità marine nel Paleozoico. 

dolomiti

L'area del Sass de Putia, una panoramica nella quale si vede l'affioramento studiato sul fianco sinistro della foto.

“Le Dolomiti ospitano affioramenti di rocce di età Permiano-Triassica riccamente fossilifere, caratterizzate, in particolare, dalla presenza di brachiopodi che testimoniano gli ultimi istanti della vita nel Paleozoico. Questi affioramenti sono unici al mondo per la risoluzione temporale e l’ottimo stato di conservazione dei fossili” spiega il Prof. Renato Posenato dell’Università di Ferrara, uno dei co-autori dello studio.

“Nello studio sono stati considerati anche esemplari provenienti dalla Cina Meridionale che hanno confermato il significato globale dei cambiamenti ambientali che causarono l’estinzione” aggiunge il Dott. Claudio Garbelli, un altro co-autore dell’Università di Ferrara.

fossile

Comelicania, un grande brachiopode fossile di circa 252 milioni di anni fa del Permiano superiore (Paleozoico finale) delle Dolomiti
(Museo di Paleontologia e Preistoria “Piero Leonardi”, 
Sistema Museale di Ateneo, Università di Ferrara, foto R. Posenato). 

Il gruppo di ricercatori ha applicato un nuovo metodo di analisi degli isotopi del boro e del carbonio sulle conchiglie di fossili marini ed è riuscito a ricostruire il pH degli antichi oceani. 

“Il pH delle acque marine è un ottimo indicatore delle condizioni ambientali. Non solo fornisce informazioni sull’acidità delle acque, che ha un forte impatto sugli organismi marini, ma, poiché dipende dalla quantità di CO2 disciolta nelle acque, permette di ricostruire le variazioni di anidride carbonica nell’atmosfera nel tempo",  commenta la Dott.ssa Hana Jurikova, autrice principale dello studio.

Con il nuovo approccio, il gruppo di ricerca ha potuto determinare il meccanismo che ha innescato l’estinzione alla fine del Paleozoico, legandolo direttamente al rilascio di immense quantità di CO2 durante eventi di vulcanismo parossistico in quella che è oggi la Siberia

Un modello estremamente sofisticato realizzato ad hoc ha poi permesso di studiare gli effetti di questa importante emissione di gas serra, e di simulare i processi avvenuti sulla Terra in quell’intervallo di tempo. 

I risultati ottenuti mostrano che le emissioni di CO2 causarono non solo l’acidificazione degli oceani e un riscaldamento globale a livelli letali per la maggior parte degli organismi. Esse portarono anche a cambiamenti drammatici nei processi di alterazione delle terre emerse e nel ciclo dei nutrienti negli oceani e, infine, a condizioni di anossia che decimarono gli ultimi organismi sopravvissuti. 

“Questa caduta a domino dei processi e dei cicli biogeochimici che sostengono la vita sul nostro pianeta ha quindi portato all'estinzione catastrofica di fine Paleozoico” riassume la Dott.ssa Jurikova.

 “Lo studio multidisciplinare delle conchiglie dei brachiopodi fossili ha un potenziale enorme per accrescere le nostre conoscenze sulla coevoluzione della vita, dell’ambiente e del clima sul nostro pianeta e questo è possibile in grandi progetti di collaborazione internazionale come BASE-LiNE Earth” conclude la Prof.ssa Lucia Angiolini, responsabile dell’unità di ricerca dell’Università degli Studi di Milano nel progetto ‘BASE-LiNE Earth’ e co-autrice dello studio.

posenato angioliniIl professor Renato Posenato insieme alla professoressa Lucia Angiolini.

Il lavoro è stato coordinato dal GEOMAR Helmholtz Centre for Ocean Research Kiel e da Helmholtz Centre Potsdam GFZ German Research Centre for Geosciences in collaborazione con l’Università degli Studi di Ferrara, l’Università di Milano e la Brock University (Canada). Questo studio è stato condotto nell'ambito del consorzio ‘BASE-LiNE Earth’ Innovative Training Network finanziato dalla Comunità europea (Horizon 2020 Marie Sklodowska-Curie research). I ricercatori italiani sono stati supportati anche dal Progetto PRIN 2017RX9XXY “Biota resilience to global change: biomineralization of planktic and benthic calcifiers in the past, present and future”.

Titolo originale dell'articolo: Permian-Triassic mass extinction pulses driven by major marine carbon cycle perturbations.

Autori: Jurikova H., Gutjahr M., Wallmann K., Flögel S., Liebetrau V., Posenato R., Angiolini L., Garbelli C., Brand U., Wiedenbeck M., Eisenahuer A.

Il disegno in copertina è stato realizzato da  Dawid Adam Iurino PaleoFactory, Sapienza University of Rome: I gas derivanti dal vulcanismo siberiano causarono le variazioni ambientali e climatiche letali, come il  riscaldamento globale, l’acidificazione e l’ anossia degli oceani, che ebbero effetti catastrofici sulla biosfera.

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