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Covid-19 | Quattro ricerche Unife condotte sui pazienti chiariscono i meccanismi che aggravano la malattia

02/04/2021

Scienza, cultura e ricerca

Covid-19 | Quattro ricerche Unife condotte sui pazienti chiariscono i meccanismi che aggravano la malattia
Immagine d'archivio di un reparto di terapia intensiva dedicato a pazienti Covid-19.

A un anno dall’inizio della pandemia, il Covid-19 non è più una malattia totalmente sconosciuta. La comunità scientifica sta via via identificando i meccanismi biologici che sono alla base delle caratteristiche cliniche della malattia e che ne condizionano l'andamento.

Anche l’Università di Ferrara offre il suo contributo in questo senso. È il caso dei risultati ottenuti dalla collaborazione tra i gruppi di ricerca dell’unità di Malattie dell’apparato respiratorio dedicata al Covid-19, della Terapia intensiva dedicata al Covid-19 e della Cardiologia dell’Ospedale di Cona, in collaborazione con i professionisti dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Ferrara.

 

Le ricercatrici e i ricercatori del network hanno potuto approfondire i meccanismi biologici che condizionano la manifestazione clinica del Covid-19, confrontando due gruppi di pazienti ricoverati per insufficienza respiratoria: un gruppo di persone ospedalizzate durante la prima ondata della pandemia e un altro gruppo di pazienti con insufficienza respiratoria non legata al Covid-19.

“L’aspetto originale del nostro studio sta nell’aver valutato diversi parametri e marcatori biologici in maniera prospettica, cioè nell’aver monitorato la variazione di tali parametri nel tempo, correlandoli con le modificazioni cliniche.
Così abbiamo potuto ottenere importanti informazioni non solo in termini di confronto tra i pazienti più gravi e meno gravi, ma anche in termini di andamento nel tempo della malattia: al momento del ricovero, e dopo una, due e tre settimane” spiega 
Marco Contoli, Professore associato in malattie dell’ apparato respiratorio (Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università di Ferrara; UO Pneumologia, Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara).

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I professori di Unife Gianluca Campo, Marco Contoli e Savino Spadaro

I risultati, pubblicati in quattro riviste scientifiche di settore, descrivono le correlazioni tra l’outcome clinico (miglioramento o peggioramento della malattia, sopravvivenza o mortalità) in funzione di una serie di biomarcatori misurati nel sangue, espressione di attivazione piastrinica e coagulativa, infiammazione e risposta immunologica.

“I nostri risultati, uniti a quelli di altri studi, descrivono il Covid-19 come una malattia  eterogenea. Il Covid è cioè una malattia scatenata da un'infezione virale ma, a fronte di una unica manifestazione caratterizzata nelle forme più gravi da insufficienza respiratoria, in alcune persone vi può essere una maggiore aggressività dell’infezione, in altri un'attivazione anomala di eventi coagulativi nel sangue, in altri pazienti ancora una esagerata risposta infiammatoria che può inibire le difese immunitarie e causare danni d’organo ed in altri ancora una combinazione di tutti questi fattori.”  illustra il professor Contoli, e aggiunge:

“In questo anno abbiamo imparato - e i nostri dati ne sono conferma - che quando la malattia si aggrava è importante cercare di individuare strategie terapeutiche mirate che permettano di intervenire precocemente, per evitare che la malattia si complichi ulteriormente verso una cascata di eventi gravi quali complicanze renali, sepsi e sindrome da insufficienza multiorgano. Purtroppo, non abbiamo ancora a disposizione parametri clinici riconosciuti a livello internazionale che ci consentano di identificare con certezza il meccanismo biologico alla base dell’espressione clinica della malattia”.

Quadro clinico grave: il ruolo dei fattori pro-coagulanti

Le analisi di Unife identificano tre meccanismi con un ruolo fondamentale nel definire il decorso della malattia. Il primo riguarda le molecole che partecipano ai processi di coagulazione del sangue:

“Nei pazienti Covid-19 con esito infausto abbiamo individuato un’elevata produzione di fattori pro-coagulanti, cioè molecole che favoriscono la coagulazione. Tali fattori aggravano la situazione clinica soprattutto se associati ad un danno del miocardio, cioè del muscolo di cui è costituito il cuore.
La cosa interessante è che, a differenza dei pazienti con insufficienza respiratoria non associata ad infezione da SARS-COV2 , nei casi di Covid-19 questa iperproduzione sembra non derivare dalla diretta attivazione delle piastrine, ma invece sembra essere mediata dalla
cascata infiammatoria” chiarisce il professore Gianluca Campo, Professore ordinario di cardiologia (Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università di Ferrara; UO di Cardiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara).

I dati confermano quanto già descritto da altri gruppi negli ultimi mesi, osservazione su cui si basa l’uso di farmaci antiaggreganti come l’eparina. Ma il lavoro di Unife aggiunge ora un importante tassello:

“Avendo raccolto informazioni in tempi diversi, abbiamo capito che il meccanismo dell’aggregazione piastrinica associata ad infezione da SARS-CoV-2 gioca un ruolo importante soprattutto nella prima fase di aggravamento della malattia verso una insufficienza respiratoria.
Cioè, i livelli dei fattori coagulativi sono più alti al momento del ricovero per insufficienza respiratoria rispetto ai tempi successivi di osservazione. Ciò suggerisce che un intervento farmacologico precoce mirato a controllare i processi coagulativi potrebbe essere più efficace rispetto a un intervento e tardivo” sottolinea Contoli.

 

L’infiammazione nei casi gravi di Covid-19

Un altro risultato importante riguarda lo studio di marcatori infiammatori. Unife convalida anche le evidenze che parlano di una importate attivazione delle molecole dell’infiammazione nei meccanismi biologici alla base della patologia:

“Ora sappiamo che nei casi di Covid-19  che necessitano di un supporto ventilatorio, l’infiammazione gioca un ruolo importante. I nostri dati dimostrano che i biomarcatori infiammatori sono espressione di un danno a livello del torrente circolatorio che si ripercuote principalmente a livello polmonare” riporta il professore Savino Spadaro, Professore associato in anestesia e rianimazione (Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università di Ferrara; UO Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara).

È interessante notare come molti dei fattori pro-infiammatori coinvolti nella malattia possano essere bloccati da farmaci antinfiammatori, come il cortisone. Di nuovo, quindi, l’indicazione clinica potrebbe essere di intervenire precocemente sui pazienti ospedalizzati per insufficienza respiratoria. 

La risposta del sistema immunitario

Il terzo aspetto valutato dal team Unife riguarda le i meccanismi immunologici di difesa contro le infezioni virali. In particolare,  il ruolo dell’interferone, una molecola prodotta dal corpo umano di grande importanza per la risposta del sistema immunitario.

“Confrontando, al momento del ricovero, i livelli di interferone antivirale presenti nei pazienti Covid-19 rispetto ai “non Covid” entrambi con insufficienza respiratoria, abbiamo rilevato dei livelli significativamente più bassi in chi aveva contratto il coronavirus.
Ciò dimostra, in linea con altre evidenze, che uno dei meccanismi attraverso il quale il virus riesce a eludere il sistema immunitario è la riduzione della capacità dell’organismo di produrre molecole antivirali quali l'interferone” spiega il professore Contoli, e continua:

“Inoltre, un outcome clinico favorevole ovvero miglioramento della malattia e sopravvivenza durante il nostro periodo di osservazione si associava ad una maggiore produzione di interferone. In effetti, anche una importante rivista scientifica internazionale -  Lancet Respiratory Medicine - , ha recentemente mostrato che la somministrazione precoce di interferone si associa ad un esito favorevole”.

I prossimi step

Grazie alla raccolta dei campioni biologici che hanno permesso la realizzazione di questi studi, nei prossimi mesi sarà possibile eseguire nuove analisi di approfondimento.

Il team si propone di mettere insieme tutte le osservazioni raccolte, per cercare di individuare delle interazioni tra i risultati ottenuti. Per cercare, cioè, di ricostruire il puzzle che chiarisca se e come infiammazione, coagulazione e risposta immunitaria siano connesse e partecipino nell’aggravare il quadro clinico dei pazienti. 

“Ancora oggi non sono disponibili degli indicatori che permettano di capire in anticipo, al momento dell’ospedalizzazione, quali persone rischiano di sviluppare la forma più grave della malattia e quali invece sono destinate a un decorso meno grave.
Per questo motivo sarà anche interessante valutare le molecole che abbiamo studiato finora nell’ottica di individuare dei marcatori clinici in grado di dare indicazioni specifiche sull’andamento della malattia” conclude il professor Marco Contoli.

Per saperne di più:

I risultati presentati in questo articolo sono stati pubblicati in quattro studi scientifici:

  • Time course of endothelial dysfunction markers and mortality in COVID-19 patients: A pilot study pubblicato sulla rivista Clinical and Translational Studies da Francesco Vieceli Dalla Sega, Francesca Fortini, Savino Spadaro, Luca Ronzoni, Ottavio Zucchetti, Marco Manfrini, Elisa Mikus, Alberto Fogagnolo, Francesca Torsani, Rita Pavasini, Luisa Marracino, Marco Verri, Luca Morandi, Emanuele D’Aniello, Carlo Alberto Volta, Gianluca Campo, Roberto Ferrari, Paola Rizzo, Marco Contoli.

A cura di CHIARA FAZIO