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Economia circolare | VAIA, la start-up nata dalla tempesta. E dagli alumni dell’Università di Ferrara

16/12/2020

Persone

Scorgere nella catastrofe una grande opportunità di riscatto. Vaia è il nome della tempesta che nel 2018 ha colpito le Dolomiti del Triveneto con una furia inaudita. Circa 40 mila ettari di foresta rasi al suolo, e 14 milioni di alberi abbattuti, in appena tre giorni. 

Può sembrare impossibile che da un evento tanto catastrofico sia stato generato qualcosa di positivo. Eppure, è esattamente ciò che Federico Stefani, Paolo Milan e Giuseppe Addamo sono riusciti a fare, dando vita a un progetto che - oltre al nome - con la tempesta Vaia condivide la potenza.

Poco dopo essersi laureati in Economia a Unife, nel 2019, i ragazzi hanno fondato la start-up Vaia, animati dall’ambizione di recuperare il legno degli alberi abbattuti nel Nord-est Italia, così da sostenere le comunità locali e ripristinare l’equilibrio del territorio danneggiato. L’azienda ha iniziato a produrre il Vaia Cube, una cassa passiva per amplificare naturalmente il suono degli smartphone. E per amplificare, soprattutto, il tema degli equilibri ambientali. Un oggetto ecologico, raffinato, contemporaneo, ma soprattutto simbolico.

La vera forza di Vaia, però, è il modello di business che propone uno schema nuovo, per cui produrre non significa depauperare l’ecosistema ma invece ripristinarne le risorse naturali compromesse, restituendo loro dignità. Già, perché Vaia destina una parte dei ricavi alla ricostituzione dell'ecosistema esistente prima del disastro ambientale. E nel corso del 2020 ha già eseguito diverse piantumazioni.

Una visione coraggiosa e illuminata cui anche Forbes ha reso onore, inserendo i tre ragazzi  nella classifica dei “100 giovani leader del futuro”. Abbiamo chiesto a Federico Stefani, fondatore di Vaia, di ripercorre con noi la sua storia. In questa intervista ci parla delle origini, del presente e del futuro dell’azienda .

vaia cube

Il Vaia Cube è un amplificatore naturale realizzato con il legno degli alberi delle Dolomiti, caduti a causa della tempesta del 2018 

Federico, il progetto Vaia dimostra una forte attenzione da parte tua ai temi della sostenibilità. Come hai sviluppato questa attitudine? 

Sono sempre stato immerso in esperienze che mi hanno dato modo di considerare questi temi. Mentre frequentavo la laurea triennale, ad esempio, lavoravo in un teatro e nel mio paese, in provincia di Trento, avevo un’associazione con cui organizzavo periodicamente eventi culturali su temi come il cibo sostenibile o l'economia circolare.
Il fatto poi di aver visto gli effetti catastrofici della tempesta abbattersi proprio sulla mia città natale ha contribuito molto ad accrescere la mia consapevolezza sulla gravità e la tangibilità dei cambiamenti climatici in atto. E ho realizzato che è necessario agire per svegliare la coscienza collettiva.

Ti va di raccontarci se, e in che misura, Unife ha influito sulla definizione del tuo percorso?

Sono arrivato a Ferrara per caso, dopo che mi ero iscritto a un corso di laurea magistrale in un’altra grande città. Lì mi sentivo un numero, una formichina in un mondo gigante. Ho subito capito che non faceva per me. Parlando con la mia vicina di banco, durante una delle prime lezioni, scoprì che a Ferrara c’era un interessante corso di laurea magistrale in inglese e incentrato sull'imprenditorialità
Dopo pochi giorni ero iscritto al corso in Economics Management and Policies for Global Challenges di Unife.
E non me ne sono mai pentito: a lezione eravamo in venti, io mi sentivo una persona, mi sentivo valorizzato, potevo chiamare per nome i professori. Sono stati anni bellissimi, e quando ho dovuto pensare a dei soci per Vaia, la scelta è ricaduta in modo molto naturale su un mio collega di corso.
Grazie a Unife, poi, ho avuto delle opportunità straordinarie all’estero. Prima ho trascorso un periodo di studio a Bruxelles, dove sono poi tornato per lavorare alla NATO, sempre grazie a un application trovata tramite l’Università. Poco dopo essere tornato da Bruxelles sono partito con il progetto Atlante per un periodo di studio in Giappone. Anche quella è stata un’esperienza importante… anche per la nascita di Vaia. 

Un amplificatore naturale per cellulari: un oggetto decisamente particolare! Come è nata l’idea del Vaia cube? 

Il Vaia Cube è un oggetto speciale, fortunato. Il primo spunto è arrivato quando, poco prima di partire per il Giappone, un falegname del mio paese regalò a mio padre un cubo di legno, spiegando in che modo la cavità al suo interno fosse in grado di amplificare i suoni. Mi innamorai di quell'oggetto, e chiesi a mio nonno se fosse capace, a sua volta, di costruirne uno per me: lui lo fece nel suo stile, e fu l’ultima cosa che realizzò nella sua vita, è l’ultimo regalo che conservo di lui. 
Poi arrivò la tempesta. Io continuavo a pensare che si sarebbe dovuto fare qualcosa. Un giorno, mentre scrivevo la tesi, non so come!, realizzai che quel qualcosa era la cassa di legno: una metafora, lo strumento perfetto per amplificare una storia. Così ho iniziato a scrivere il progetto e, una volta tornato in Italia, mi ci sono buttato a capofitto. Ho lavorato notte e giorno coi miei compagni di viaggio per giungere, nel giro di pochi mesi, alla costituzione della start-up.

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Il team della start-up Vaia

Oggi Vaia è una vera e propria comunità. Sui social avete da poco raggiunto la soglia dei 40mila “vaiers”. Cosa hanno in comune le persone che vi seguono? 

La nostra ambizione è ispirare le persone al cambiamento positivo. In Vaia, la sostenibilità economica esiste nella misura in cui il risultato diretto dell’attività d’impresa è sostenibile per l’ambiente. E noi dedichiamo molta cura nel raccontare questa visione, anche attraverso i piani editoriali dei nostri canali facebook e instagram
Mi piace pensare che le persone che ci seguono sposino i nostri valori, il nostro impegno per un modello di business che pone al centro la natura e il territorio. E in Vaia trovino uno strumento per manifestare la volontà di muoversi nella stessa direzione.

Concludiamo con uno sguardo al futuro. Quali sono i tuoi programmi e cosa diventerà Vaia “da grande”?

Aprire e fare crescere una start-up, specie se “non convenzionale”, è molto impegnativo, ed è anche una grande responsabilità. Da poco ho deciso di lasciare il mio lavoro alla NATO, e di tornare in Italia per dedicarmi a VAIA a tempo pieno. Non è stata una scelta semplice: a Bruxelles avevo davanti un percorso professionale appagante e sicuramente più semplice da gestire nel quotidiano. Ma ho sentito di dover dedicare a Vaia tutte le mie energie.
A breve termine l’obiettivo d’impresa è realizzare nuovi prodotti che mantengano la promessa del nostro brand. Le sfide sono molteplici: i nuovi prodotti dovranno essere credibili, coerenti, eleganti dal punto di vista del concept e del design. E poi, per guardare al lato più pratico, dovranno avere una serie di altre caratteristiche  come l’accessibilità in termini di prezzo, o le dimensioni che li rendano facilmente “spedibili”. Di sicuro, i nuovi prodotti non dovranno essere solo degli oggetti ma,  proprio come il Vaia Cube, saranno strumenti del nostro messaggio.
Sul lungo periodo, infine, coltiviamo l'ambizione di valorizzare le materie prime provenienti da altri luoghi colpiti da calamità naturali. Oggi usiamo gli alberi del Nordest Italia, domani recupereremo altre risorse naturali, ridando loro dignità.

Per saperne di più

Nella foto di copertina, da sinistra a destra: Paolo Milan, Federico Stefani - entrambi ex-studenti di Unife - e Giuseppe Addamo.

A cura di CHIARA FAZIO