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Biorobotica | Unife e Sant’Anna di Pisa insieme per affinare l'interazione tra uomo e robot

23/09/2021

Scienza, cultura e ricerca

Biorobotica | Unife e Sant’Anna di Pisa insieme per affinare l'interazione tra uomo e robot
Braccio robotico. Foto credits: Scuola Superiore Sant'Anna

Per sollevare le lavoratrici e i lavoratori di domani da compiti gravosi, pericolosi, o per aiutarli durante passaggi particolarmente delicati, l’industria 4.0 si propone di integrare in maniera sempre più raffinata il lavoro dell’uomo con quello di robot collaborativi (cobot).

Perché ciò accada, è necessario che le tecnologie robotiche impiegate nelle fabbriche del futuro siano in grado di interagire finemente con le attività umane.

In uno studio appena pubblicato su Science Robotics, coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e in collaborazione con l’Università di Ferrara, un gruppo di scienziate/i ha proposto un modello sperimentale per migliorare la comunicazione tra uomo e robot, evitando incomprensioni e errori durante un compito collaborativo.

“Tutti noi abbiamo esperienza di come una distrazione possa far commettere un errore durante l'esecuzione di un compito. Ad esempio, un’improvvisa telefonata durante un passaggio critico di una ricetta in cucina. Lo stesso potrebbe accadere ad un operatore la cui attività venisse interrotta in un momento inappropriato dall’intervento del robot con il quale collabora per la costruzione di un sofisticato apparecchio” spiega Laila Craighero, professoressa di Psicobiologia nel Dipartimento di Neuroscienze e Riabilitazione di Unife, tra gli autori dello studio.

Collaborazione uomo-robot: la fase sperimentale

Lo scopo dello studio era individuare l’istante migliore in cui interrompere il lavoro di assemblaggio dell’operatore, per limitare al massimo disagi e interferenze. L’interruzione era necessaria affinché il robot potesse consegnare al partner umano un componente “speciale” non presente sul tavolo da lavoro.

Pertanto, a un gruppo di persone è stato chiesto di afferrare e spostare secondo una precisa sequenza alcuni oggetti molto fragili a loro disposizione. Durante momenti diversi di questa attività ricevevano dal robot un segnale (la vibrazione di un braccialetto) in seguito al quale, dopo aver terminato il movimento iniziato, dovevano afferrare l’oggetto dalla mano del robot e posizionarlo nella sede appropriata. Sulla base delle conoscenze relative ai processi cognitivi e sensorimotori implicati nell’esecuzione del compito richiesto all’operatore, sono stati individuati alcuni istanti critici in cui fornire il segnale.

“Il nostro studio ha dimostrato che esiste un momento ottimale in cui un robot deve segnalare la richiesta di passaggio di un oggetto al partner, limitando le interferenze con l’azione umana” dichiara Marco Controzzi, ricercatore dell’Istituto di BioRobotica del Sant’Anna e coordinatore dello studio.

“Il momento migliore è quando l’operatore ha appena afferrato l’oggetto da spostare. Quindi, è meglio non distrarre l’individuo quando sta muovendo la mano verso l’oggetto o sta per afferrarlo, né quando sta per posizionarlo. Probabilmente in questa ultima fase sta già programmando il movimento successivo” commenta Laila Craighero.

Un risultato importante per quella che viene definita robotica collaborativa, come precisa Gastone Ciuti, professore di Bioingegneria dell’Istituto di BioRobotica del Sant’Anna, tra gli autori dello studio:

“Questi aspetti, oltre all’adozione di nuove tecnologie di percezione e algoritmi di intelligenza artificiale, permetteranno che tali robot possano davvero risultare di aiuto durante l’esecuzione di compiti gravosi e ripetitivi”.

Ambiente, contesto sociale ed emotivo: tra robotica e neuroscienze

La differenza tra i vecchi robot industriali, progettati per operare in maniera autonoma e protetti da barriere, e i cobot, concepiti per interagire fisicamente con l’uomo, è sostanziale:

“Questo studio è un esempio di approccio multidisciplinare allo sviluppo della robotica collaborativa. Per poter trasferire efficacemente i risultati ottenuti in laboratorio nell’ambiente di lavoro o di casa è necessario che la robotica integri le conoscenze delle neuroscienze cognitive sul ruolo dei processi sensorimotori e cognitivi durante l’interazione dell’individuo con gli oggetti e con gli altri. I risultati di questo campo di indagine, che fin dall’inizio ha visto i ricercatori italiani protagonisti, sono fondamentali affinché il robot collaborativo non esegua un semplice gesto ma un “gesto adattato” al contesto ambientale, sociale e emotivo sottolinea la professoressa Unife Laila Craighero.

Lo studio infatti suggerisce che non è sufficiente che il cobot porga l’oggetto quando necessario, ma deve farlo comunicando le proprie intenzioni al momento giusto, nel modo giusto, tenendo conto sia dello stato dell’azione in corso sia della condizione dell’operatore.

“Tale approccio si è dimostrato efficace per rendere più fluida la collaborazione durante un compito manuale condiviso. Per questo motivo, con il nostro contributo, speriamo di far sì che le persone possano capire e interpretare il comportamento e le intenzioni di un robot, per riuscire a coordinarsi con esso in maniera intuitiva evitando che ne siano distratti od ostacolati” commentano Francesca Cini e Tommaso Banfi, post doc dell’Istituto di BioRobotica e primi autori della ricerca.

 foto Laila Craighero

Laila Craighero, Professoressa di Psicobiologia nel Dipartimento di Neuroscienze e Riabilitazione di Unife

Lo studio dal titolo The relevance of signal timing in human-robot collaborative manipulation è stato pubblicato il 22 settembre 2021 sulla rivista scientifica Science Robotics.

La lista completa degli autori è: Francesca Cini, Tommaso Banfi, Gastone Ciuti, Laila Craighero, Marco Controzzi.

 

Per saperne di più

A cura di CHIARA FAZIO