La qualità del progetto

last modified May 27, 2010 05:35 PM
Prof. Ing. Aldo Aveta, Ordinario di Restauro architettonico -Facoltà di Architettura Università degli Studi di Napoli“Federico II”

Di fronte ad un pubblico così qualificato e nell’ambito di una iniziativa particolarmente significativa – soprattutto perché si svolge in una delle aree del centro storico con uno straordinario patrimonio di testimonianze storico-artistiche, archeologiche, ambientali, etnoantropologiche, ecc, eppure in condizione di estremo degrado fisico,economico e sociale – ho sentito l’esigenza di svolgere alcune riflessioni sul tema della “Qualità progettuale” nel Restauro con l’intento di rivolgermi più che agli addetti ai lavori, agli altri, ai destinatari e fruitori delle attività degli architetti.

Va precisato, innanzitutto, che RESTAURO NON E' RECUPERO.

Per restauro è da intendersi una serie di attività che ha per oggetto il patrimonio architettonico e ambientale che ha in sé un valore culturale e come tale va tutelato e conservato.
Per recupero si intendono attività che riguardano l’edilizia in senso lato, laddove non sono presenti specifici valori: ovvero ristrutturazioni, sostituzioni, riqualificazioni. Quando sentiamo confondere i termini recupero e restauro, nascono in noi forti preoccupazioni perché esse hanno significati e finalità ben diversi, mentre esigenze economiche e professionali tendono spesso a identificarli. Sono impegnato a formare le giovani generazioni di architetti insegnando principi e metodologie da applicare nei restauri. Ma le esperienze compiute e la qualità dei restauri che si eseguono dimostrano che non è sufficiente formare tecnici qualificati se poi le comunità non sono esse stesse in grado di distinguere un buon restauro da un cattivo restauro, comprendendone presupposti, significati, valenze, finalità.
L'opinione pubblica osserva esclusivamente gli esiti finali dei restauri e su questi dovrebbe essere in grado di esprimere valutazioni consapevoli. Ma è facile verificare che essa è disorientata: lo stato confusionale è determinato proprio dai cosiddetti “restauri” che si realizzano nella nostra città e in tante altre città storiche, in Italia e all’estero, che spesso sono la negazione del restauro.
L’opinione pubblica non riesce a rendersi conto di ciò anche perché spesso i massmedia la inducono in errore. A ciò deve aggiungersi, quanto denunciato già nell’Ottocento da William Morris a proposito dell’apatia dell’opinione pubblica di fronte ai cattivi restauri compiuti all’epoca dagli architetti ecclesiastici e dai Pastori.

“riportare il monumento all’antico splendore” è una frase ricorrente dietro la quale si cela la cancellazione di quel “palinsesto” che il documento-monumento rappresenta, e, quindi, la distruzione di tracce, segni, stratificazioni che le passate civiltà ci hanno lasciato.
Al contrario, alcune frasi dei primi teorici del restauro sono ancora oggi illuminanti:

(1848)J.Ruskin,TheSevenLampsofArchitecture(1848)sottolineava che: “la gloria più grande di un edificio consiste nella sua età…”.

(1883)C.Boito ribadiva: “Restauro è distruzione”, e, ancora: “vergogna ingannare i contemporanei; vergogna anche maggiore ingannare i posteri”.

Nell’arco del XX secolo la Scuola italiana del Restauro – in cui sono emersi a Napoli Roberto Pane e Roberto Di Stefano – ha messo a punto principi, criteri, metodologia del restauro.
Oggi il Codice dei Beni Culturali (2004) definisce il Restauro come un complesso di operazioni finalizzate a garantire l’integrità materiale del bene, nonchè a proteggere e trasmettere i suoi valori culturali; pertanto, un corretto intervento di restauro deve necessariamente mirare a salvaguardare i valori stratificati nel momento che testimoniano gli apporti di tutte le epoche storiche. Il Codice, però, non illumina sulla Cultura del Progetto così che spesso i restauri denunciano scarsa professionalità dei tecnici, ma anche mancanza di aggiornamento dei funzionari ed eccessiva discrezionalità degli organi di tutela.
Il restauro è un’operazione in cui sono richiesti grande passione ed un cospicuo bagaglio culturale e tecnico. Nelle varie fasi, dal progetto all’attuazione: sia nella fase conoscitiva, sia nella scelta degli interventi e delle funzioni deve essere garantita la “qualità”.

Un progetto di QUALITA’ si fonda su:
A) ANALISI e STUDI approfonditi di vario tipo
-indagini storico-urbanistiche, archivistiche, bibliografiche, iconografiche,ecc.
-rilievi della reale consistenza dei manufatti e del loro degrado, avvalendosi ove necessario di tecnologie avanzate (scannerlaser)
-indagini sui caratteri fisici e materici del manufatto, anche con impiego di tecnologie non invasive (termografia, ultrasuoni, ecc.) Emerge con evidenza l’interdisciplinarietà che deve caratterizzare il “cantiere della conoscenza”, ovvero l’esigenza che gli architetti dialoghino costruttivamente con chimici, fisici, petrografi, strutturisti, archeologi, storici dell’arte, ecc.

B)individuazione dei VALORI STRATIFICATI del manufatto, fondata su un giudizio storico-critico

C) Scelta degli interventi e delle funzioni compatibili, ovvero definizione degli interventi più appropriati di restauro architettonico e strutturale, di adeguamento funzionale ed impiantistico per la nuova funzione. I consolidamenti dovranno attuarsi attraverso un equilibrato apporto di tecniche tradizionali e tecniche innovative. Ben vengano, pertanto, Società e Industrie qualificate che forniscono prodotti adeguati alle molteplici esigenze.
Nelle scelte progettuali dovranno essere rispettati i criteri condivisi dalla cultura del restauro: distinguibilità, autenticità, istanza storica ed estetica, materiali compatibili, ecc. Tutto ciò è indispensabile per garantire restauri di qualità, ma, purtroppo, nella prassi salvo rari casi non si verifica a causa di:

•INDAGINI SOMMARIE

•FONDI SCARSI PER RILIEVI CORRETTI E PROVE DI LABORATORIO

•FUNZIONI GENERICHE, VELLEITARIE O NON COMPATIBILI

•POLVERIZZAZIONE DELLE RISORSE

•MANCANZA DI VERIFICHE ECONOMICHE ANCHE PER LA GESTIONE DEL MANUFATTO RESTAURATO ECC.


Questo è il quadro preoccupante che rispecchia la condizione attuale dei restauri in Italia.Concludendo il ragionamento e l’esigenza prioritaria che si diffonda la CULTURA DEL PROGETTO DI RESTAURO.

 

E’ utile, ora, esemplificare le questioni affrontate illustrando alcuni casi di buone pratiche o di cattive pratiche nel restauro. Si tratta di restauri nei quali si registrano un attento rispetto dei valori stratificati e l’aggiunta, ove necessario, distrutture, chiaramente distinguibili ispirate al linguaggio contemporane. A fronte di tali interventi significativi, dalla Sicilia al Veneto è diffusa la pratica di reintonacare le facciate e ritinteggiarle, oppure, ancora, di sottoporle a puliture così invasive da cancellare ogni traccia di stratificazione storica. Né va dimenticata la pratica diffusa di “scorticare” gli edifici, sia in Italia che all’estero, quasi che gli intonaci che rivestono le murature in pietra calcarea siano di minor valore storico  rispetto alle sottostanti strutture; in altri casi gli intonaci vengono rimossi per fare emergere gli elementi lignei “a graticcio”. Sono da citare poi alcuni esempi eccellenti di monumenti distrutti parzialmente nel corso della seconda guerra mondiale e lasciati allo stato di rudere.
 

Al contrario, s icontinuano a compiere su monumenti di straordinario valore operazioni di ripristino e di ricostruzione per riportarli all’“antico splendore”. Basti pensare alle scellerate operazioni compiute negli ultimi anni sul Castello di Carlo V a Capua (exPirotecnico), sottoposto al vincolo militare e mal restaurato con fondi del Ministero della Difesa. Ricostruire“dov’era e com’era”, ovvero costruire un “falso storico”, è un delitto che si è consumato anche a Napoli: è il caso della  stazione superiore della Funicolare di Chiaia e di un edificio a rudere a Salita Arenella. Dopo un incendio o un crollo, è possibile compiere scelte coraggiose ed interventi di grande rilevanza e qualità architettonica. E’ il  caso della ricostruzione d iuna cupola, realizzata con materiali e tecniche contemporanee, in un progetto di rilevante interesse culturale e tecnico: il Reichstag di Berlino. L’edificio, per la verità, è stato oggetto di un discutibile ripristino, dunque non  un vero e proprio restauro: ciò che qui ci preme evidenziare è l’ardita e tecnologicamente avanzata soluzione per la nuova cupola. E’ possibile, dunque, progettare soluzioni di notevole qualità architettonica rifuggendo da pedisseque ricostruzioni “al’identique” che utilizzano le stesse tecniche antiche pur con correttivi, così come aveva proposto negli anni passati Antonino Giuffrè strutturista impegnato nel campo del Restauro. Le sue soluzioni sono spesso state adottate in maniera acritica dalle Soprintendenze, timorose di confrontarsi con i temi della progettazione: l ’esempio a Napoli lo ritroviamo nella ricostruzione della cupola crollata di S.Giovan Battista delle Monache in via Costantinopoli utilizzando conci di tufo tagliati secondo forme antiche. nmeritoallapericolosatendenzaallaricostruzione“com’eraedov’era”Talesoluzionericostruzionecomeraedovera. Tale soluzione sembra piacere agli amministratori e politici italiani rispetto agli esiti di concorsi internazionali. Simile scelta, culturalmente criticabile, assicura loro maggiori risultati in termini di visibilità e di raccolta di consensi a tempi brevi. Dunque quandoc rolli incendio altre calamità hanno colpito monumenti di rilevanza eccezionale si è scelta tale strada.

Basti citare i teatri La Fenice a Venezia e il Petruzzelli a Bari. Caso emblematico di simili scelte discutibili è la Cattedrale di Noto : qui, cogliendo l’occasione di un tragico evento, un crollo parziale, si è ricostruito non solo la parte crollata non più esistente, ma anche tutta la struttura portante residua riproponendo presunte carenze costruttive, riproponendo antichi, ma non originari ,schemi costruttivi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la Cattedrale appare oggi come un enorme contenitore edilizio anonimo e privo di valori autentici e stratificati. Per evidenziare differenze evidenti tra progetti di qualità e progetti sommari in casi a noi più vicini è utile confrontare quanto realizzato nella valorizzazione del percorso archeologico nel sottosuolo del Rione Terra, secondo un pregevole progetto e, utilizzando anche materiali di qualità, e la sistemazione “provvisoria” delle scale di accesso alla Piscina Mirabilis, oggetto di recenti polemiche per lo stato di abbandono in cui si trova. Non poche perplessità, infine, sorgono di  fronte agli esiti del restauro del Tempio-Duomo di Pozzuoli. Il pregevole progetto nella fase esecutiva è stato in parte modificato anche per le richieste in corso d’opera della Soprintendenza archeologica; inoltre, l’auspicato rispetto sacrale del “palinsesto”, tra adeguamenti impiantistici, anomale controsoffittature, illuminazione velleitaria ecc., mostra qualche punto di debolezza. Il risultato finale è che lo straordinario complesso sul Rione Terra sembra aver perso quel fascino di “storicità” che lo distingueva, per apparire come un’esposizione per comparti distinti delle diverse fasi storiche, in un’atmosfera surreale, condizionata dalla cromia del bianco e dalle nuove ed abnormi superfici vetrate. In conclusione, Restauri di Qualità potranno realizzarsi in luogo di ripristini, ricostruzioni e cattivi restauri – solo se, a fronte di proposte progettuali colte e qualificate da parte degli architetti, si assocerà, da parte delle comunità e degli amministratori pubblici, una sempre maggiore consapevolezza dei principi e dei criteri che devono guidare le attività di Restauro. L'obiettivo qualità dei restauri, dunque ,è legato ad un più generale problema di Cultura e Formazione.
 

 

Profilo dell'Autore

Aldo Aveta è professore ordinario di Restauro architettonico nella Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli “Federico II”, docente presso la Scuola di specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio, presidente del corso di laurea magistrale in Architettura-Restauro.  È autore di molteplici saggi, nonché di relazioni a convegni nazionali ed internazionali. Negli ultimi anni ha pubblicato: Conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale (2005); Questioni attuali sulle nuove tecnologie nel restauro e le istanze brandiane (2006); Interazioni materiche tra teorie e prassi nel restauro strutturale (2007); Consolidamento delle strutture lignee. (2007); Luigi Vanvitelli e la cultura tecnica del Settecento (2008); Degrado e/o valore di antichità delle architetture in c.a.: l’aspetto metodologico (2008); Architettura storica e diagnostica (2009); Restauro e rinnovamento del centro storico di Napoli (2009).   Tra le esperienze progettuali si citano il restauro di S. Lorenzo Maggiore in Napoli, la Reggia Orsini a Nola, la Villa Ricciardi e l’ex Distilleria Esposito in Pomigliano d'Arco.