IL RIUSO DELL’ANTICO: IL RESTAURO E LA NUOVA DESTINAZIONE MUSEALE DELLE CATACOMBE DI SAN GENNARO A NAPOLI

last modified May 27, 2010 06:18 PM
Giovanni De Pasquale, Architetto, consulente tecnico-scientifico delle Catacombe di Napoli

PREMESSA
Il restauro delle CATACOMBE DI S. GENNARO a Napoli si colloca, quale significativo episodio, in un contesto programmatico che vede protagonista il quartiere Sanità. Tale programma pone tra i suoi obiettivi principali la riqualificazione dei luoghi sacri delle prime testimonianze cristiane in questa area che già i greci vollero consacrare al culto dei morti. Sparuti e superstiti ipogei pagani fanno capolino quindi tra le monumentali vestigia delle catacombe, veri e unici esempi di architettura ipogea di raro raffronto.
Catacomba di S. Gennaro, catacomba di S. Severo, catacomba di S. Gaudioso, catacomba di S. Efremo, catacomba di S. Maria della Vita (non più visibile ma ben documentata da G. A. Galante agli inizi del secolo scorso), sono gli elementi di un canovaccio che, intersecandosi con le cave di tufo dell’area, caratterizzano un panorama ipogeo che, affacciandosi in superficie con splendide e preziose strutture ecclesiali (S. Gennaro extra moenia, S. Maria della Sanità, S. Severo …), definiscono un percorso archeologico - architettonico urbano in grado di conferire al quartiere in cui si ubicano (la Sanità, appunto) un singolare valore aggiunto di altissimo livello culturale.

LA STORIA
Napoli, come Roma ed altre città in cui il cristianesimo ebbe immediata e vasta diffusione, costruì sin dalla fine del II - inizi III secolo, un’articolata rete cimiteriale sotterranea dove manifestare il culto e celebrare la memoria dei propri defunti.
Tra queste catacombe la più importante, giunta sino a noi, sia per l’antichità delle sue origini che per la carismaticità popolare intrinseca nei suoi sacri cubicoli, è certamente il complesso di S. Gennaro a Capodimonte.
La catacomba di S. Gennaro, come le altre del territorio, essendo scavata nel classico tufo giallo napoletano presenta caratteristiche spaziali assolutamente desuete rispetto all’idea preconcetta di un sito catacombale. Generalmente, infatti, il visitatore che frequenta per le prime volte questi luoghi ipogei porta con sé la visione consolidata nel proprio immaginario delle anguste gallerie e dei dedaelici labirinti delle più celebrate catacombe romane. Nel nostro aso, invece, i fosseres locali, sfruttando appieno le plastiche caratteristiche del tufo giallo, diedero luogo ad architetture ipogee stupefacenti, dagli splendidi effetti scenografici, componendo le forme ricavate dallo scavo nella pietra lavica con i deliziosi giochi di chiaroscuro provocati dagli ampi ingressi e dagli spesso inattesi lucernari.
In questi luoghi, per la prima volta, si è formata la Chiesa di Napoli, raccolta in religiosa preghiera, rivolta ai santi padri della Chiesa napoletana apostolica ivi sepolti.
La catacomba divenne quindi luogo privilegiato quando S. Giovanni I, quindicesimo vescovo di Napoli, in un anno compreso fra il 413 ed il 431, decise di traslare le reliquie del già celebrato martire Gennaro, dalla sua prima tomba ubicata nell’agro Marciano (all’altezza, all’incirca, dell’attuale via Terracina), nella valle che i primi cristiani avevano eletto a sede della propria civiltà cultuale.
La devozione popolare a S. Gennaro, durante i quattro secoli della presenza delle sue spoglie nella catacomba eponima (le stesse verranno trafugate dal principe longobardo Sicone che nel 831 le riportò in patria, a Benevento,) nasce praticamente in questi luoghi, dove migliaia e migliaia di fedeli si recano in religiosa preghiera presso la tomba del “loro” santo, a invocarne la protezione.
Da un punto di vista architettonico e artistico, ciò che entusiasma immediatamente, entrando in questi luoghi, è la ricchezza e la varietà del patrimonio iconografico, caratterizzato da innumerevoli affreschi, narranti scene sia del repertorio classico che di un repertorio propriamente vetero e neo cristiano che, almeno dal III secolo acquista una propria autoctona fisionomia. E’ possibile, allora, “scoprire” policrome pitture che si affacciano dalla penombra dei tanti arcosolia posti ai lati delle ampie gallerie; oppure rimanere affascinati dalle decorazioni di interi ambienti dove affreschi puramente decorativi, celebrativi o didascalici si distendono lungo volte di interi ambienti dalla vastità spesso inattesa. Oggi, nel disegno della catacomba, individuiamo, quella che fu probabilmente la sua ultima formazione aggregata: due, cosiddetti livelli, non sovrapposti, ai quali sono stati conferiti i toponimi di “catacomba superiore” e “catacomba inferiore”.
Ben quattro sono invece le basiliche che compongono il comprensorio: Basilica maior, basilica minor (detta ‘dei vescovi’), basilica di S. Agrippino e basilica di S, Gennaro extra moenia. Due i vestiboli (superiore ed inferiore), entrambi del II secolo (forse ipogei pagani riutilizzati), un fonte battesimale (VIII secolo), un cosignatorium albatorum, ma soprattutto la prima tomba venerata di S. Gennaro.

IL PROGETTO DI CONSOLIDAMENTO E RESTAURO

Appare opportuno precisare che, sin dalle origini, l’accesso alla catacomba di S. Gennaro avveniva dal lato dei fronti delle cave del quartiere Sanità, a testimonianza di una tipologia di scavo cosiddetta orizzontale che ben differiva da quella verticale delle contemporanee catacombe romane.
L’esistenza dell’accesso alle catacombe di S. Gennaro direttamente dal quartiere Sanità, dove erano di fatto ubicate, è testimoniata anche da G. Doria nella sua celebre opera “Le strade di Napoli” in cui alla voce ‘San Gennaro dei Poveri’, descrivendo l’ospizio, già ospedale nel XV secolo, riporta “…ricorderemo che dall’ospizio si accede alla catacomba di S. Gennaro, la più importante di Napoli, risalente al II secolo …”. 
Agli inizi degli anni ’70 del secolo trascorso, tale accesso fu invece spostato a monte verso Capodimonte, di fianco alla Basilica del Buon Consiglio, nel tentativo di ‘migliorare’ la logistica di fruizione, determinandone invece la caduta nell’oblio per i pellegrini che periodicamente affollavano questi luoghi in devoto raccoglimento. L’accesso al sito catacombale da Capodimonte poteva certo avvalersi di collegamenti viari più agevoli: tangenziale e corso Amedeo di Savoia, della vicinanza al polo museale di Capodimonte e della Basilica del Buon  Consiglio, perse però la memoria di coloro che per anni l’avevano fatta vivere, allontanandosi da un quartiere in cui questi insediamenti trovavano naturale collocazione (si pensi anche alle altre catacombe di S. Gaudioso e di S. Severo).
La stessa visita alla catacomba veniva sovvertita: non si accedeva più dagli ambienti cronologicamente più antichi, ma da quelli più recenti, escludendo quegli spazi che erano stati concepiti come accessi e che, come tali, erano stati progettati secondo un certo verso di percorrenza dei fedeli, con il fascino scenografico dei grandi spazi affrescati.
I problemi legati ad una corretta fruizione del bene furono correlati anche a mutazioni geomorfologiche del costone tufaceo che ne hanno compromesso la stabilità interdicendo quasi per intero la visita del sito.
Inoltre si rileva che il fronte occidentale della catacomba è stato notevolmente danneggiato dall’eccessivo peso di un muro di contenimento realizzato alla fine degli anni settanta.
Interessa rilevare, ai fini della presente analisi, quanto effettivamente la presenza dell’edificato e l’evoluzione, nonché l’uso, dei terreni agricoli sovrastanti possano avere influenzato le modificazioni del microclima sottostante e con quali ripercussioni nei confronti della conservazione del bene archeologico (vera e propria architettura al negativo) e dei celeberrimi manufatti (affreschi e mosaici) ivi presenti.
Da recenti rilevazioni, che completano un ciclo di osservazioni e monitoraggi diagnostici pressoché decennali, si evidenzia che l’area, che maggiormente ha mostrato segni di risentimenti manifestatisi con un quadro fessurativo diffuso ed in rapida progressione, è localizzabile lungo il versante Ovest, dove sono ubicati gli antichi accessi alla catacomba, identificabili chiaramente nel vestibolo inferiore e nel vestibolo superiore.


Le aree immediatamente sovrastanti, come confermato dalla sovrapposizione dei piani rilevati a quote differenti, sono essenzialmente privi di edifici, ma hanno destinazione d’uso a “frutteto”, la cui utilizzazione ha portato, anche in tempi recenti, a sedimentare improprie quantità di terreno riportato per modellare la collina ed il declivio secondo le finalità e le esigenze dei coloni conduttori dei fondi.


Uno degli obiettivi del presente progetto di restauro è quindi quello di:
Ristabilire l’originario ed antico equilibrio idro-geomorfologico, intervenendo sul costone tufaceo per risanarlo, ove necessario, attraverso i seguenti interventi:
1. consolidamento corticale del costone tufaceo 
2. alleggerimento del sovrastante riempimento di terreno riportato, con conseguente ridimensionamento dei muri di contenimento;
3. monitoraggio elettronico continuo durante le fasi 1 e 2


La metodologia di intervento ha previsto una prima fase di rilievo laser scanner, cui ha fatto seguito una serie di considerazioni desunte dall’indagine diretta dei luoghi effettuata con il supporto di rocciatori che, in cordata, hanno redatto uno screening puntuale e diretto del luogo. L’elaborazione dei dati così desunti, meglio descritti nell’allegata elazione geotecnica, ha definito la successiva fase progettuale, determinando in maniera univoca l’intervento a farsi.


Alleggerimento del sovrastante riempimento di terreno riportato, con conseguente ridimensionamento dei muri di contenimento
Questo intervento si rende necessario dopo avere attentamente valutato lo stato tensionale rilevato nelle pareti di tufo della catacomba. Il peso gravante all’estradosso del manto tufaceo non è certo quello originario (vedi l’andamento orografico del terreno), ma risulta essere pesantemente maggiorato da riporti di terreno effettuati in epoca recente. Inoltre tale modificazione geologica ha condotto anche ad una grave alterazione del sistema di smaltimento delle acque meteoriche, non più regimentate e spesso assorbite, per imbibizione, dal terreno e quindi trasmesse al banco tufaceo sottostante.
Ovviamente l’asportazione sarà effettuata totalmente a mano ed avverrà per una porzione di terreno tale da non consentire comunque un pericoloso rilassamento della sottostante massa tufacea.

 
Durante tali fasi operative si effettuerà:
rilevamento puntuale dello stato di suddivisione delle masse rocciose affioranti, con valutazione degli stati di pericolo in atto o potenziali;
abbattimento sistematico dei volumi rocciosi pericolanti, accompagnato dal taglio delle piante, le cui radici, nel tempo, potrebbero indurre nuovi stati di pericolo;
demolizione ed abbattimento dei volumi rocciosi in condizioni di precario equilibrio con l’impiego, ove necessario, anche di attrezzature idrauliche, martinetti o allargatori;
ancoraggi autoperforanti mediante l’utilizzo di chiodature autoperforanti in barre di acciaio zincato a fuoco, tipo ISCHEBECK TITAN 30/11 o similare; la barra del tipo a filettatura continua, dovrà avere diametro esterno non inferiore a 30 mm, e dovrà essere cava all’interno per consentire il passaggio dei fluidi di perforazione in fase di avanzamento, e delle miscele di iniezione in fase di inghisaggio. Il carico a trazione non dovrà essere inferiore a 150 KN, mentre il carico a rottura sarà non inferiore a 320 KN.
Contestualmente si effettuerà il monitoraggio, articolato secondo le fasi di seguito descritte:
posa in opera di n. 20 estensimetri di tipo potenziometrico vincolati mediante dispositivi sferici a due perni metallici di diametro 5 mm cementati nella muratura mediante resina epossidica;
posa in opera di n. 2 termosonde per la misura della temperatura dell’aria all’interno della catacomba;
posa in opera di n. 1 apparecchiatura di acquisizione automatica composta da:
n. 1 datalogger, n. 1 quadro elettrico stagno completo di circuiti elettrici;
n. 1 alimentatore con relativa scheda;
n. 22 sistemi di protezione degli strumenti;
n. 1 batteria tampone al piombo, n. 1 modem per la trasmissione dei dati a centri di controllo remoti, programma di acquisizione ed elaborazione dati (incluso prove di avviamento del sistema, addestramento tecnici incaricati dalla Committenza durante il primo anno di funzionamento).


A seguito delle fasi di consolidamento su descritte sarà possibile procedere al restauro degli splendidi affreschi della volta del vestibolo inferiore (del II secolo) oltre che completare la musealizzazione del percorso già sottolineato dal recente e tecnologico impianto di illuminazione a LED.


Restauro di affreschi della volta del vestibolo inferiore
Il restauro degli affreschi ha necessitato di un’attenta e puntuale mappatura delle principali patologie che interessano le ampie superfici decorate, sia a livello di pellicola pittorica che a livello di supporto intonacato. Tanto verificato si procederà all’esecuzione delle seguenti fasi, sinteticamente descritte di seguito:
o consolidamento della pellicola pittorica, previa spolveratura;
o consolidamento del supporto intonacato con iniezioni di malte idrauliche;
o rifacimento delle stuccature con appropriate malte;
è più che evidente che, in corso d’opera, sarà cura del restauratore aggiornare il quadro diagnostico e quindi la metodologia d’intervento a seconda delle specifiche esigenze che verificherà puntualmente e non programmabili in fase di progettazione.


IL PERCORSO
Pur conservando l’accesso attuale, ove si prevede la sostituzione della esistente scala in ferro con una meno invasiva scala in vetro e acciaio, è intenzione di riaprire l’antico accesso da vico S. Gennaro dei Poveri al fine di ristabilire una corretta lettura cronologica dell’originario scavo degli ambienti.
A tal fine si sostituisce la porta in ferro esistente con una nuova chiusura sempre in ferro, ma blindata, con tarsie in rame e si restaurano i primi ambienti ubicati alle spalle dell’abside della Basilica di S. Gennaro extra moenia. Ciò avverrà ovviamente solo a scavi archeologici effettuati e messa in sicurezza del costone tufaceo sovrastante.
In tale area sarà ubicato un nuovo punto di guardiania e una postazione per i servizi.
Ma ciò che va rimarcato in questa sede è soprattutto la realizzazione di un sistema di passerelle che, ‘disegnando’ il percorso in modo non invasivo rendono l’intera catacomba fruibile anche ai diversamente abili.
 

 

Profilo dell'Autore

Giovanni De Pasquale, architetto, è il fondatore dello studio DE PASQUALE ARCHITETTI nel 1996. Nel 2003, con l’associazione di Daniela Consiglio, architetto, lo studio assume il nome di DP ARCHITETTI. Lo studio si occupa essenzialmente di restauri sia relativamente a strutture monumentali che di natura archeologica, seguendo la progettazione dalla fase di rilievo fino alla chiusura del cantiere.  Alla intensa attività progettuale e di cantiere si affianca l’attività accademica e di ricerca, che si ritiene fondamentale per lo sviluppo di nuove conoscenze.
Gli interventi di restauro principali (tra cui segnaliamo molteplici strutture monastiche e conventuali, quali S. Lorenzo Maggiore, oltre che interventi su strutture private) sono stati realizzati su incarichi di Enti Religiosi, Arcidiocesi di Napoli, Stato Vaticano, Ministero per i Beni e le Attività culturali e vari istituti ed enti privati.