Dalla conservazione all'architettura

ultima modifica 28/09/2010 11:37 — scaduto
Guido Canali, Architetto

Museo Archeologico

Cessate le originarie funzioni ospedaliere, la gran fabbrica medievale che a Siena suggella a valle Piazza Duomo si va pazientemente trasformando in un sistema museale integrato. L’Amministrazione Comunale tenacemente lo promuove, il Monte dei Paschi generosamente lo sostiene. Primo ad essere colà trasferito è il museo Archeologico: entro le viscere più profonde, nell’intrico di gallerie di tufo e cantine che per secoli furono magazzini e depositi; e, più di recente, anche degradanti centrali tecnologiche. I cunicoli vengono accuratamente restaurati dopo un’attenta lettura archeologica e riorganizzati in sequenza inventando accorti by-pass. Mentre gli oggetti delle collezioni etrusche ritrovano sottoterra l’aura delle tombe ipogee, di cui erano originario corredo. Al ritmo degli spazi, ampi e voltati o labirinti angusti, si sovrappone ed intreccia il ritmo dell’allestimento. A sezioni dense, come quelle delle urnette funerarie disposte a gradoni ad evocare l’accumulo delle tombe, si susseguono altre più rarefatte, in cui campeggiano singole vetrine o sculture. L’adesione paziente ai luoghi non esclude che gli inserti funzionali si esprimano con lessico contemporaneo, pur al massimo decantato. Esili profili in acciaio definiscono la rarefatta geometria di vetrine e supporti. Una nuova pavimentazione galleggiante in doghe di legno assorbe tutte le reti degli impianti così da evitare qualsiasi incisione su pareti e soffitti, nella più assoluta futura flessibilità.

 

 

Appunti sugli interventi entro il Santa Maria della  Scala a Siena

Agli inizi degli anni novanta il museo archeologico di Siena era già situato nell’ambito del SMS. Allestito senza particolare qualità al piano terra dell’ex Ospedale delle Donne, dunque affacciato su Piazza Duomo, occupava spazi preziosi per altri utilizzi che – dall’essere in vetrina – potessero trarre maggior vantaggio.Il progetto di Concorso del ’92 prevedeva perciò accortamente di trasferire il museo negli spazi delle cantine, magici ma malutilizzati e disarticolati. Anche per esaltare l’assonanza perfetta tra i contenuti espositivi ed il contenitore. Da una parte infatti il corpus delle collezioni patrizie senesi, estratto da tombe ipogee o comunque scavato dal sottosuolo della città e del contado. Dall’altra il misterioso affascinantissimo intrico di cunicoli incisi nel tufo, lunghi e protesi oltre il sedime dell’ospedale, fino a perdersi sotto Piazza Duomo, alternati a splendide cantine medievali in cotto. I bassorilievi e le urne, in pietra fetida e cotto; i piccoli bronzi funerari avrebbero ritrovato così i fondali di tufo che li avevano accolti da subito e custoditi per secoli, prima della loro scoperta. Cantine e cunicoli, prima dell’intervento di restauro, costituivano una congerie disordinata, difficilmente raggiungibile, e nell’ultimo secolo variamente devastata. Evidentemente realizzati in epoche diverse, i cunicoli, poi, allungati e moltiplicati, a secondo delle esigenze, quali depositi, cisterne, spazi di culto. Ma anche inzeppati di macerie, usati come discariche o improvvisati luoghi di sepoltura (forse interventi di emergenza a seguito di epidemie?): come il “Carnaio”, appunto, un deposito osseo risalente alla peste che colpì Siena nel corso del Trecento. Se pur in stato di disordine e sottoposti a violenza, se ne intuiva la grande valenza evocativa. Prima di tutto era necessario liberarli e ripulirli. In secondo luogo ricucire o inventare, attraverso un complesso e delicato lavoro di scavo, un tracciato unificante capace di mettere in comunicazione i singoli vani, condizione essenziale per un percorso espositivo a senso unico, cioè fluido ed emotivo in cui siano evitate le divagazioni e i ritorni sui propri passi. A questo scopo sono stati scavati ex novo alcuni segmenti nel tufo, che consentissero accorti bypass. Nel riannodare il percorso in senso unitario, si è anche curato che lo stesso si fondasse su una sequenza emotivamente vivace. Cioè sull’alternarsi di spazi diversificati per dimensioni, caratteristiche fisiche e strutturali, materiche. Si sono così agganciati in sequenza stretti cunicoli e grandi cantine voltate, gallerie di tufo e tunnel di mattoni. Il percorso espositivo si articola dunque come un attento gioco di rarefazione e compressione, dove la diversità degli spazi attraversati – ora longitudinali ora centrali, ora scavati ora voltati – determina una continua alternanza spaziale, accentuata dal variare della grana e della cromia materica di pareti e soffitti. E’ un ritmo che già di per sé emoziona chi percorre quei locali vuoti. L’introduzione dei materiali espositivi accentua ed esalta tale ritmo. I materiali sono esibiti ora radi ora in folte schiere. Così da un lato il “cantinone” adibito per secoli a deposito delle grandi botti vinarie per le scorte dell’ospedale, ora è palcoscenico pacato di radi bassorilievi che accolgono frontalmente i visitatori. In più lungo il perimetro i massicci pilastri in mattoni aggiunti nei secoli per presidio statico definiscono un naturale alloggiamento per bassorilievi ed altri elementi muserali, che sono semplicemente appoggiati su di una pedana lignea che sembra emanarsi dal pavimento. E ancora, altrove, sottili androni incisi nel tufo o voltati in mattoni (qui uno dei bypass reinventati) vengono solo sfiorati da presenze isolate che traggono accento dalla luce schermata dallo zoccolo a protezione di chi percorre.

 

Anche l’inserimento delle vetrine, che proteggono i pezzi piccoli o fragili, rifugge da ogni esibizionismo progettuale. Le teche in cristallo che non vogliono urlare e rifiutano il ruolo di prime donne del museo approdano entro le anse defilate delle articolate cantine medievali. O, pur sempre discrete, assumono il ruolo di perno spaziale attorno cui far ruotare il nuovo percorso. E’ comunque confermato il principio espositivo che prevede pochi pezzi come fulcri ottici di ampi intorni vuoti. Principio seguito per lo più negli allestimenti museali del moderno dove l’impaginazione astratta prevalente stimola la rarefazione dei pezzi esposti. Ma entro altri segmenti del percorso ipogeo è anche rievocato il criterio dell’accumulo; che, più che alla tradizione museale ottocentesca, rimanda proprio alla condizione di affollamento delle tombe etrusche, dove le urnette dei defunti arrivati per ultimo si stratificavano alle preesistenti. L’evocazione dell’aura originaria dei sepolcri ipogei ha consapevolmente ispirato nel museo archeologico di Siena l’allestimento delle sezioni che accolgono, entro separati cunicoli, urne fittili ed urne lapidee. I piccoli blocchi figurati sono assiepati su semplici pedane lignee a gradoni, affiancate alla passerelle di percorso, che si inclinano per collegare i livelli discontinui delle varie cantine, oltre che esaltare le valenze scenografiche del percorso stesso. I pavimenti, appunto, sono concepiti come passerelle lignee, sospese rispetto al fondo di tufo, e distanziate leggermente dalle pareti in tufo o mattoni. Mutuato dai camminamenti che si lanciano nei cantieri di scavo archeologico per evitare di danneggiare i reperti, questa sorta di pavimento galleggiante occulta una folta rete di canalizzazioni: in sostituzione di quella miriade che disordinatamente intasava le cantine storiche (scarichi bianchi e neri, reti idrauliche) che ancor oggi va conservata per l’alimentazione e lo smaltimento dell’intero complesso; ma anche come transito di nuove reti impiantistiche, che debbono essere adeguate alle esigenze di un moderno museo.

 

Le doghe lignee del pavimento sono staccate tra di loro quanto basta ad evitarne lo svergolamento. E lungo i muri storici una fessura che consente il flusso dell’aria le stacca dal tufo o dal mattone. La fessura lascia passare l’aria che consente una climatizzazione idonea alla corretta conservazione delle opere ed al confort dei visitatori, ma non troppo spinta per non compromettere il delicato equilibrio igrogeologico sui muri di tufo. Una volta recuperata la qualità spaziale e distributiva, i progettisti si concentrano sul ricco testo murario, cercando di salvaguardare le stratificazioni e le tracce – dalla scialbatura a calce sul mattone, ai listoni lignei a sostegno di ripiani da magazzino – che il tempo e l’uso avevano lasciato sui paramenti in mattoni e sulle superfici del tufo scavato. All’interno della città antica di Siena, che si fonda su di un grande basamento di tufo, ampliare le cantine perforando attorno, anche sotto la pubblica via, è pratica invalsa fin dalle epoche più remote. Nel livello ipogeo del SMS tale pratica è stata ampiamente utilizzata, come si è visto. Difficili dai graffi del piccone datare gli interventi di scavo. Così per garantire anche in futuro una possibilità di lettura e decifrazione dei segni, sia le pareti, che i soffitti sono stati trattati come intangibili reliquie. Le superfici scavate mostrano qua e là ancora brandelli di quella leggera intonacatura a calce che conferiva solidità alla pelle del tufo e migliorava le condizioni igieniche dei locali. Ogni traccia circa l’uso delle antiche cantine e della vita che si svolgeva è stato, quasi maniacalmente, conservato: anelli, graffiti, inserti di vario genere. Anche le mensole lignee che evidentemente costituivano gli appoggi alle scaffalature dei magazzini non sono state divelte. Nell’atrio di avvio del percorso museale la teoria dei mensoloni nudi diviene astratta e sofferta figura carica di significati da decifrare, come un’opera di arte concettuale. Durante i lavori di sistemazione, prodromici all’allestimento, nello scavare sotto il pavimento per il transito degli impianti, sono emersi vani prima insospettati.

 

Sotto la gran volta dell’ex cantinone, un frammento di aula ipogea usata forse a scopo devozionale o forse come cisterna, è stato svuotato accuratamente e reso accessibile come arricchimento del percorso, a richiesta. E’ protetto da lastre trasparenti cui si integra una pedana per le sculture (vedere in pianta). Una scaletta da cantiere consente la visita degli studiosi. Ma altri vani nel tufo li abbiamo ricavati ex novo come sfogo per esigenze funzionali e tecniche del museo. Ad esempio per alloggiare il blocco degli impianti tecnologici che assicura il ricambio d’aria in un sistema totalmente privo di finestre, ed in modo che nessuna tecnologia dovesse apparire entro gli ambienti medievali. Grazie ai pavimenti galleggianti reversibili (basta svitare due viti e le doghe si sollevano) sono ancora visibili ed accessibili le condotte dell’antico sistema di circolazione delle acque (oltre a cisterne e pozzi, le canalette capillari per il deflusso idrico) perfettamente conservate al di sotto del pavimento galleggiante. Ma il progetto di riuso che occorre disegnare sui sedimenti della storia inevitabilmente determina, su di essi, visibili segni. Essenziale è perciò perlomeno – è una mia convinzione – che tali segni risultino discreti, quasi sussurrati. Non serve siano mimetici o equivocamente in stile. Possibilmente invece improntati a sobrietà e leggerezza. Che le protesi indispensabili in un museo quali i supporti delle opere, le barriere di protezione per i visitatori, e addirittura, anche se non è il nostro caso, gli ascensori e le scale, vengano modellati in modo dichiaratamente contemporanei, è peraltro accettato anche nelle Carte del Restauro. Più difficile è ottenere, nei fatti, che i nuovi inserti riescano ad evitare sia gli eccessi della tecnologia sia le ambiguità dell’assonanza linguistica col contesto antico. I supporti delle opere – pedane, basamenti – sono semplicemente in legno nudo, pannelli fenolici per non incurvarsi con l’umidità, che iterano ed articolano i piani praticabili in doghe di larice. Le vetrine sono inevitabilmente in cristallo, lastre inclinate verso il visitatore ad evitare i riflessi, sostenute da profilati metallici i più esili possibili. Ancorate entro le nicchie delle murature medievali, come già si è visto; ovvero appese ad una trave dell’imposta della volta, come nell’esempio qui illustrato, mediante sottili tiranti. Anche utilizzate a separare i flussi di andata e ritorno all’interno del museo, così che lo spazio solenne dell’antica nobile cantina in mattoni non sia frazionato, e degradato. Ma anzi, grazie alla presenza del nuovo nastro luminoso e denso di preziosi reperti, trae come un’accelerazione, una carica nuova. Il pavimento galleggiante in doghe di larice asseconda, duttile, le geometrie della storia. Consente ad esempio con estrema facilità stacchi più rilevanti della consueta fessura rispetto ai muri di maggior pregnanza testuale. Come ad esempio nel caso del brano delle possenti mura urbiche alto medievali intessuto anche a conci alterni di pietre e mattoni di cui diviene così possibile percepire gli strati prima cancellati dal piano pedonabile. Grazie a lastre di vetro che sostituiscono il pavimento e che, in virtù dell’illuminazione da sotto, non impediscono la percezione degli strati profondi. Alimentati dagli impianti che corrono sotto il pavimento sono stati studiati appositi steli verticali che consentono di concentrare i terminali di quasi tutti gli impianti in dotazione: TV a circuito chiuso, segnalazione fumi, indicatori vie di fuga, illuminazione di sicurezza, allarme, prese ed illuminazione di servizio. Sono totem a sottile struttura metallica, cavi, che accolgono a grappolo i terminali sopra richiamati, e che si alimentano dalle reti occultate dal pavimento galleggiante.


 

 

Profilo dell'Autore

Guido Canali  è fondatore della Canali associati s.r.l., accademico di San Luca, già docente universitario a Parma, all’Istituto di Architettura di Venezia e a Ferrara.
Per anni si è impegnato a restituire, attraverso un’attenta opera di restauro e di progettazione, alcuni straordinari complessi storici, tra cui il Palazzo della Pilotta (ampliamento della Galleria Nazionale, recupero delle Stalle seicentesche di piano terra e del Cortile del Guazzatoio, in vari stralci, dal 1970 al presente).
Esemplare, anche, il progetto di restauro e riuso dell’antico complesso ospedaliero di Santa Maria della Scala a Siena, in corso di trasformazione dalla metà degli anni 90 in centro museale e congressuale.
Sul versante del riuso, tra l’altro, la riconversione del quartiere ex Manifattura Tabacchi di Milano in complesso culturale (scuola sperimentale di Cinema e Archivi Storici), residenziale (millecinquecento abitanti), commerciale; del Palazzo del Capitano a Siena in centro polivalente per la Fondazione Monte Paschi; il restauro dell’ex Convento San Domenico a Pesaro quale centro culturale, per conto Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro.
Tra i recenti incarichi in campo museale e del restauro: conversione della Rocchetta Mattei a Riola (BO) quale centro culturale e Museo della Fiaba per Fondazione CARISBO; Museo dell’Opera del Duomo entro Palazzo Reale a Milano; museo delle statue-stele nel Castello del Piagnaro a Pontremoli.
Altrettanto significative sul piano dell’interpretazione dello spazio abitativo e di lavoro, le sue mature prove per i tanti complessi residenziali sul tema della “casa padana” (a Parma, Reggio Emilia, Sassuolo, Noceto, ecc.) e degli uffici-laboratorio, come i due stabilimenti per Prada a Montevarchi e a Montegranaro; e per  Gran Sasso in provincia di Teramo; gli uffici Smeg a Guastalla.
In corso di esecuzione, tra gli altri, gli headquarters Prada a Valvigna (Arezzo).
Completata la sede centrale della Hipo-Vereinsbank a Monaco di Baviera (in collaborazione con G. Botti).
In corso di realizzazione un quartiere di millequattrocento abitanti nella zona del Portello, a Milano (esposto alla Biennale 2010) e vari altri progetti in Emilia per uffici, abitazioni e commercio.
Mostre personali in Italia e all’estero, tra cui Biennali di Venezia, Padova, Monaco, Meinz.
Numerosi i riconoscimenti, tra i quali: Premi Inarch 1989/1990, 1991/92, Constructa Preis Hannover ’92,  Fritz Schumacher Preis 2004, Compasso D’oro 2004, menzione d’onore alla medaglia d’oro dell’architettura italiana (Triennale di Milano) per il 2003, per il 2006 e per il 2009. Premio per la “migliore architettura degli ultimi cinque anni”,  assegnato nel 2007 da ANCE-INARCH, Premio Dedalo-Minosse assegnato da Ala-Assoarchitetti per l’edizione 2007/2008, Brick Award 2008 e premio S. Ilario del Comune di Parma, 2008.