Le guerre di religione

1. Nonostante le speranze e i tentativi di conciliazione, la crisi religiosa del Cinquecento portò a una contrapposizione violenta tra i cattolici e coloro che passarono alla Riforma, nelle sue varie versioni. Dagli anni '40 del Cinquecento sino alla metà del Seicento in varie parti d'Europa si svolse una serie di conflitti più o meno sanguinosi e prolungati detti guerre di religione. Questi conflitti fornirono soluzioni diverse al problema della convivenza pacifica di confessioni diverse.

2. Nei territori dell'Impero si giunse a un primo assetto stabile nel 1555 con la pace di Augusta. Questa sancì la permanente divisione in stati cattolici e riformati, sulla base del principio cuius regio eius religio: la religione del principe valeva per i sudditi, i quali avevano la scelta tra conformarsi o emigrare. Da notare: la pace di Augusta valeva per cattolici ed evangelici luterani, mentre non prendeva in considerazione i calvinisti, i quali erano avversati dai luterani quasi più dei cattolici. Questa sistemazione, lo vedremo nelle prossime lezioni, venne rimesso in discussione nel Seicento, ma alla fine della guerra dei Trent'anni (1618-1648) fu confermato.

3. In Francia, lo stato più esteso e popolato dell'Europa occidentale, la Riforma si diffuse nella versione calvinista. Ad essa aderirono buona parte dell'aristocrazia, alcuni settori del mondo borghese e, in alcune aree di antica tradizione ereticale (come la Francia del sud-ovest dove era stata forte nel primo Duecento l'eresia albigese), anche contadini. Ma diversamente da molti principati  dell'Impero e dai regni scandinavi in Francia la monarchia non aderì mai alla Riforma. Una serie di contingenze del tutto casuali (morte accidentale di re Enrico II, reggenza della vedova Caterina de' Medici, successione di sovrani deboli) fece sì che il regno si lacerasse con la formazione di un partito cattolico intransigente capeggiato dalla casata dei Guisa, di un partito protestante, detto "ugonotto", e di un partito cattolico moderato che anteponeva alla questione confessionale la difesa dell'unità del regno (i cosiddetti politiques, che per appunto anteponevano le ragioni della politica e gli interessi del regno alle ragioni della confessione religiosa).

Dopo un quarantennio di guerre civili punteggiate da efferati massacri (il più noto la Notte di San Bartolomeo, massacro dei protestanti convenuti a Parigi, 23-24 agosto 1572, che fece migliaia di morti nella capitale e nel resto del paese) salì al trono un principe, Enrico di Borbone, re col nome di Enrico IV, che pur essendo stato educato da protestante (mai intransigente, però) si convertì al cattolicesimo, consapevole che solo a questa condizione la stragrande maggioranza dei suoi sudditi, rimasta cattolica, lo avrebbe accettato. La Lega cattolica, che anteponeva invece l'uniformità religiosa all'interesse dello Stato, aveva dal canto suo una base popolare e assunse atteggiamenti rivoluzionari. Sia gli ugonotti dopo la strage della notte di San Bartolomeo sia i leghisti cattolici dopo l'assassinio del loro capo, duca di Guisa, elaborarono idee politiche sovversive che mettevano in discussione l'autorità del re: al re giusto si doveva obbedienza, ma non al re tiranno; anzi questi poteva essere legittimamente combattuto ed anche ucciso (teorie monarcomache, che legittimavano ciè l'uccisione del monarca-tiranno). Un frate uccise re Enrico III, che si era alleato agli ugonotti, e un fanatico cattolico uccise lo stesso Enrico IV, nel 1610, quando questi stava per muovere guerra alla Spagna cattolica.

Proprio Enrico IV con l'editto di Nantes del 1598 trovò una soluzione al problema della convivenza religiosa diverso dalla formula della pace di Augusta. Il regno restava unito sotto un sovrano cattolico, ma la confessione riformata veniva tollerata, anche se non ovunque i protestanti potevano esercitare il loro culto. Per maggior garanzia i protestanti ottennero di controllare una serie di fortezze e di arsenali, per potersi difendere in caso di nuove guerre civili. Questo faceva però di loro uno Stato nello Stato, capace di sfidare in qualunque momento l'autorità monarchica, cosa  che accadde nei due decenni seguenti la morte di Enrico IV. Negli anni '10 e '20 del Seicento perciò una nuova serie di guerre civili, conclusa con l'editto di Alès del 1629, tolse agli ugonotti tutte le loro basi militari, pur confermando la piena tolleranza del culto.

In realtà la nobiltà ritornò via via in massa al cattolicesimo, togliendo alla minoranza riformata il suo principale sostegno sociale e militare, mentre gli sforzi di riconquista spirituale dei cattolici, sostenuti dalla monarchia, ridussero ulteriormente lo spazio dei riformati. Luigi XIV (re dal 1643 al 1715) intraprese una politica di estirpazione del protestantesimo, da un lato premiando coloro che si convertivano e dall'altro vessando quelli che restavano protestanti, sino a revocare nel 1685 l'editto di Nantes con il pretesto che ormai era superfluo. Molti protestanti si convertirono controvoglia per non dover subire persecuzioni e altri seguitarono a celebrare il loro culto clandestinamente sfidando le autorità e anche ribellandosi all'inizio del '700 in alcune aree montagnose della Francia meridionale, ma circa 200-250mila emigrarono in Olanda, Inghilterra (e da lì in Irlanda e nelle colonie inglesi nell'America del nord e nei Caraibi), a Ginevra e nei cantoni svizzeri protestanti, nel Brandeburgo.

4. Il pluralismo confessionale si realizzò in due realtà diverse: le Province Unite (la principale delle quali era l'Olanda), e l'Inghilterra.

4.1. Le Province Unite costituivano la parte settentrionale dei Paesi Bassi, un'area che all'inizio dell'età moderna comprendeva gli attuali Belgio, Paesi Bassi (che tutti chiamiamo per comodità Olanda) e Lussemburgo, e anche alcuni dipartimenti della Francia del nord. Lì i convertiti al calvinismo, non avendo ottenuto da Filippo II tolleranza religiosa, finirono con l'insorgere e rendersi indipendenti nel corso di una lunga guerra, iniziata nel 1567. Solo nel 1648, ottanta anni dopo, la Spagna si rassegnò a riconoscere la loro indipendenza. Per gli olandesi la guerra degli Ottant'anni è a tutti gli effetti una guerra di indipendenza.

Erano uno stato singolare: piccolo ma densamente popolato, ricco per un'agricoltura intensiva e altamente produttiva (la più avanzata ed efficiente d'Europa e forse del mondo) e soprattutto per un proficuo commercio internazionale, in larga parte marittimo. Comprendevano una confederazione di città-stato e di principati, con un'alternanza al potere supremo tra i principi di Orange, i nobili più ricchi e influenti del paese, capi militari e guide nella guerra di indipendenza, da una parte e dall'altra governanti repubblicani espressi dai patriziati cittadini. La direzione politica del paese venne assunta e tenuta dai calvinisti (per altro divisi in modo anche aspro in una corrente intransigente e una tollerante), ma nelle Province Unite molti, soprattutto nei ceti popolari delle città, aderivano all'anabattismo, mentre gli immigrati di origine tedesca erano evangelici luterani, e un consistente numero di abitanti, forse un terzo, soprattutto contadini e in alcune delle province, rimasero cattolici. Inoltre nelle città olandesi immigrarono dalla fine del Quattrocento in poi numerosi ebrei di origine iberica (spagnoli, portoghesi). Le Province Unite realizzarono perciò un esempio unico di convivenza pluriconfessionale e anzi plurireligiosa, fondata sulla tolleranza di fatto dei diversi culti, anche se la facciata era quella di uno stato protestante.

4.2. Nelle isole britanniche lo scisma di Enrico VIII portò alla formazione di una chiesa di stato nazionale detta anglicana, subordinata all'autorità regia, che si consolidò solo nel corso dei decenni, seguendo le oscillazioni della confessione dei monarchi. Infatti a Enrico VIII, morto nel 1547, succedettero il figlio Edoardo VI, incline al calvinismo, sino al 1553, e poi la figlia Maria, intransigentemente cattolica, sino al 1558. Solo con l'ascesa al trono dell'altra figlia Elisabetta I, morta nel 1603, l'anglicanesimo si impose come la confessione dominante, ma avendo al proprio interno una tendenza che lo faceva somigliare al cattolicesimo nei riti e nell'organizzazione del clero, e una tendenza che guardava invece al calvinismo e dalla quale si staccarono già nel secondo '500 numerosi fautori di una riforma più nettamente calvinista (i cosiddetti "puritani"). In Irlanda, invece, isola sotto il dominio dei re d'Inghilterra e conquistata militarmente soltanto nel corso del '500, la massa della popolazione rimase cattolica. Nella vicina Scozia, o almeno nella sua parte meridionale, più avanzata socialmente ed economicamente, si affermò una chiesa di Stato calvinista intransigente, sul modello della Ginevra di Calvino, ma erano presenti minoranze di cattolici e di aderenti alla confessione anglicana.

Alla morte di Elisabetta il successore per diritto di sangue era il re di Scozia Giacomo Stuart, il quale riunificò il dominio di Inghilterra, Irlanda e Scozia. Aderente alla riforma ed educato da calvinista, il re patrocinò il trapianto di colonie di protestanti scozzesi e inglesi in Irlanda. Ma il pluralismo confessionale delle isole britanniche andò in crisi quando suo figlio Carlo I dovette fronteggiare dapprima la rivolta degli scozzesi, che guardavano con diffidenza il tentativo di  trapiantare e rafforzare in Scozia la chiesa anglicana (detta da loro episcopale), e poi la ribellione degli irlandesi cattolici contro i coloni protestanti, mentre il parlamento a sua volta si contrapponeva al re. Per un ventennio le isole britanniche furono teatro di guerre civili che erano contemporaneamente una guerra di religione su più fronti e una rivoluzione politica. Nel corso di queste guerre lo stesso re venne deposto, processato e giustiziato, nel 1649.

Il momentaneo crollo della chiesa di Stato episcopale e il ruolo propulsivo svolto dai puritani nella lotta contro il re fece sì che per circa un ventennio trovassero modo di emergere alla luce numerose sette di impronta radicale (tra queste i quaccheri, pacifisti e ostili a riconoscere qualsiasi autorità) che rifiutavano l'idea stessa di una chiesa di Stato. Pur essendo tutte espressioni di religiosità che avevano radici nella Riforma, queste tendenze venivano avversate tanto dagli anglicani quanto dai calvinisti intransigenti.

Nel 1660 la monarchia venne restaurata e la chiesa anglicana ristabilita nella sua posizione di chiesa di Stato. La Restaurazione, oltre a sancire il ruolo centrale del Parlamento nella politica statale inglese, sancì anche la supremazia della chiesa anglicana, alla quale aderiva la maggior parte della popolazione, e l'esclusione dai diritti politici dei dissidenti calvinisti e settari e dei cattolici. Quando però una nuova, ma breve, rivoluzione, nel 1688-1689, rovesciò Giacomo II Stuart e lo costrinse all'esilio, ai dissidenti protestanti venne accordata la tolleranza del culto, mentre solo i cattolici restavano discriminati, anche se nei loro confronti non vennero attuate persecuzioni e di fatto esercitavano il culto liberamente.

Sulle vicende inglesi si vedano gli appositi appunti in questo materiale didattico.