Dal Restauro all’Architettura

last modified Apr 16, 2010 06:57 PM
(estratto da un’intervista effettuata da Davide Turrini per la rivista Costruire in Laterizio n° 127)

Le case e i palazzi dei nostri centri storici sono in genere ricchi delle stratificazioni delle vicende umane, fatte di miserie e splendori, di grandi eventi e di piccoli atti della quotidianità; di fatto le architetture antiche si presentano ai nostri occhi come la somma degli infiniti interventi di generazioni di committenti, abitanti, architetti; si tratta di architetture figlie di molti autori, spesso sconosciuti. Tutto ciò ha generato in questi edifici un grande valore, una rara bellezza difficilmente catalogabile e dettata spesso dal caso o dalla contingenza: il nostro fine ultimo è quello di conservare e restituire tale ricchezza, non solo in termini di combinazione estetica. Per troppo tempo l’estetica delle stratificazioni è stata cancellata, o semplificata, o peggio ancora imbruttita con interventi inconsapevoli e volgari; noi vogliamo scoprirla, analizzarla, conservarla e valorizzarla.   Il nostro approccio nell’inserire il nuovo negli edifici storici è stato quello di proporre elementi il più possibile discreti, caratterizzati da una fattura artigianale e non industriale, da forme semplici e morbide, da cromatismi chiari e non squillanti. Per conservare l’integrità delle strutture e degli apparati decorativi esistenti, le poche protesi che andiamo ad inserire sono completamente indipendenti; si configurano come cellule autonome, trasparenti o di colore neutro, che ambiscono a perdersi, a scomparire nel testo architettonico antico, che non vogliono insomma interferire con esso. Questo è possibile anche perché cerchiamo ogni volta di pervenire ad una strategia distributiva degli spazi che riduca al minimo la necessità di suddividere gli ambienti e di aggiungere nuovi elementi funzionali. Attualmente, in molti interventi di recupero, domina la presenza del nuovo; gli architetti vogliono rappresentarsi a discapito dell’antico che diviene sempre meno antico ed è ricoperto di molto ferro, di passerelle e solai, di colori, di nuovi pavimenti; nei nostri restauri, invece, a rimanere protagonista assoluta e indiscussa è la storia.  La recente esperienza del restauro del ex panificio Santa Marta a Verona si è rivelata molto impegnativa e interessante, innanzitutto per la sua consistente dimensione: il complesso degli edifici di Santa Marta nasce come polo industriale realizzato, attorno alla metà del XIX secolo per rifornire di pane le truppe asburgiche stanziate nell’Italia settentrionale. Il nostro compito è stato quello di rifunzionalizzare il panificio vero e proprio come sede della Facoltà di Economia veronese e di collocare all’interno del silo per le granaglie sei aule per le attività didattiche. Per non compromettere la lettura degli spazi voltati del panificio, caratterizzati dalla presenza di pilastri centrali, abbiamo ridotto al minimo i disimpegni e ancora una volta abbiamo utilizzato partizioni leggere appositamente disegnate; anche le aule sono state ricavate senza interferire con murature e solai esistenti, dando vita a grandi scatole trasparenti realizzate con vetri oscurabili grazie ad un sistema a cristalli liquidi. Parlare dell’esperienza del panificio mi permette di sottolineare un concetto generale che ritengo molto importante nel campo del restauro degli edifici storici: non sempre la scelta conservativa è più dispendiosa della sostituzione con il nuovo. A Santa Marta, ad esempio, abbiamo mantenuto e consolidato immense superfici di tetti in legno, anche diverse per tipologia, e ciò, in maniera inaspettata, ha comportato grosse economie di spesa rispetto ad una totale sostituzione delle coperture.

Trovo che in Italia il dibattito disciplinare sul restauro sia molto avanzato, per certi versi sofisticato, anche se spesso caratterizzato de contrapposizioni non ben comprensibili; purtroppo quasi sempre le opere non rispecchiano la qualità di tale dibattito. Ad esempio a Roma, in restauri recenti come quelli della Cripta Balbi, di Palazzo Altemps, del Museo delle Terme di Diocleziano, o ancora del Museo dei Mercati Traianei emerge un irrefrenabile desiderio di novità, spesso incompatibile con la nobiltà degli spazi antichi in cui si è intervenuti. In Toscana e in Umbria esiste poi una rete di decine di piccoli spazi museali collocati in strutture storiche, che rappresentano molto chiaramente ciò che non si dovrebbe fare nel progetto di restauro. Si tratta di spazi in cui le stratificazioni sono state cancellate, di luoghi totalmente sbiancati in cui domina il nuovo che, oltretutto viene spesso disegnato in modo dilettantesco; gli intonaci e i pavimenti sono grossolani; gli impianti sono concepiti e realizzati in modo approssimativo. Troppo spesso i progettisti sembrano essere completamente inconsapevoli delle loro limitate capacità operative e dello straordinario valore insito nelle architetture a cui si accostano. Anche nel caso del recupero di interi brani di città o del restauro del paesaggio, il dibattito scientifico, che negli ultimi anni ha trovato un consistente sviluppo all’interno delle nostre scuole di architettura, stenta ad avere effettive ricadute positive sulla pratica progettuale. Parlando di un’esperienza personale in tale settore, posso citare il caso del Parco Archeominerario di Gavorrano (GR) dove, tra il 1999 e il 2001, abbiamo portato a termine un delicato intervento di recupero e nel quale, successivamente, altri architetti hanno collocato nuove improbabili e vistosissime strutture, per nulla rispettose del bellissimo contesto ambientale. Tutto ciò non dovrebbe accadere: ogni giorno, con il nostro lavoro, cerchiamo di proporre un modello alternativo a questa pratica negativa, purtroppo diffusa su tutto il territorio nazionale.

Un ultimo lavoro di restauro importante da citare è quello del Palazzo Ducale dei Gonzaga, a Guastalla, iniziato nel 2001. La costruzione del palazzo, iniziata nel 1560 durante il ducato dei Gonzaga, subisce nell'arco di quattro secoli innumerevoli trasformazioni, destinate a modificarne radicalmente l'immagine rinascimentale iniziale. Questo processo di adeguamento funzionale e formale ha generato molteplici stratificazioni archeologiche, strutturali e decorative, che si sono sovrapposte fino agli anni quaranta, e che il nostro progetto ha messo in luce valorizzandone la complessità.  L'intervento si è ispirato ad un criterio di rigorosa conservazione di ogni parte dell'edificio ed in particolare delle superfici decorate dei vari ambienti, nascoste da molti strati di imbiancature che sono state scoperte mediante saggi stratigrafici e restaurate. La complessità delle sovrapposizioni dell'impianto decorativo, diverse per ognuno dei 130 ambienti, illustra la storia dell'edificio e degli stili che si sono avvicendati, determinandone una nuova e inaspettata qualità architettonica, perfezionata dalle poche aggiunte contemporanee, con le quali viene stabilito un perfetto equilibrio. Una sequenza di piccoli interventi quali il ripristino di antiche aperture tamponate, la demolizione di superfetazioni precarie e di controsoffitti recenti, la scopertura di antichi pavimenti nascosti da altri più recenti, ha reso leggibile lo spazio originale consentendo di recuperare antiche suggestioni e inaspettati effetti di trasparenza. In particolare è stato riaperto il portico tamponato del piano terra intorno alla corte centrale, della quale è stata restaurata la copertura in ferro e vetro ed il ballatoio in legno costruiti ai primi del '900.

A questa attenzione estrema agli aspetti della conservazione abbiamo unito una particolare cura nel disegno dei nuovi elementi contemporanei come i servizi igienici, gli ascensori, la torre libraria ecc. necessari per i nuovi usi dell'edificio. Gran parte degli ambienti sono destinati infatti a funzioni museali e biblioteca pubblica, mentre il piano terra ospiterà una banca, un ristorante, un bar, ed un ufficio informazioni, raccolti intorno alla corte, pensata come una piazza pubblica coperta.

 


Massimo Carmassi - Profilo biografico

Massimo Carmassi  è nato a Pisa nel 1943. Professore  ordinario di Progettazione Architettonica e Urbana presso l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Ha insegnato “Progettazione Architettonica” presso le Facoltà di Architettura di Ferrara, Genova, Torino, Reggio Calabria, all'Accademia di Architettura di Mendrisio, presso la Hochschule der Kunst di Berlino e la Syracuse NewYork. 

Dopo aver fondato e diretto dal 1974 al 1990 l'Ufficio Progetti della città di Pisa, attualmente svolge la propria attività professionale nello studio che dirige a Firenze, nel campo del restauro e della nuova architettura. E’ stato dal 1981 al 1985 presidente dell’Ordine degli Architetti di Pisa e Provincia. 

Tra i vari riconoscimenti ha ricevuto la medaglia d’oro H.Tessenow della Fondazione Schumacher. E' Accademico nella classe di Architettura dell'Accademia delle Arti del Disegno a Firenze, Accademico di San Luca, membro della Internationale Baukademie Ev. di Berlino, Honorary Fellow of the American Institute of Architects. Le sue opere sono pubblicate su riviste nazionali,  internazionali e su numerosi volumi monografici.Dal 1990 al 2003 ha svolto l’attività professionale in associazione con Gabriella Ioli. L'architetto Lorenzo Carmassi, nell’ottobre 2003, entra a far parte  della associazione.