IL LAMENTO DI ISMENE

ultima modifica 23/07/2012 23:14
Uno studio teatrale ispirato all' "Antigone" di Sofocle

Lunedì 16 luglio è andato in scena lo studio teatrale "Il lamento di Ismene", esito del laboratorio teatrale 2011-12, diretto da Michalis Traitsis con gli allievi Chiara Baroni, Giuseppe Lipani, Martina Malavasi, Flavia Tisato e Sonia Todaro.

Il successivo mercoledì 18 lo studio è stato presentato anche presso la Casa Circondariale Maschile di Santa Maria Maggiore di Venezia e presso la Casa di Reclusione Femminile di Giudecca, nell'ambito del progetto "Passi Sospesi" diretto da Michalis Traitsis e del quale il CTU di Ferrara è partner da diversi anni.

A Tebe la lotta tra due fratelli Eteocle e Polinice, l’uno difensore della città, l’altro aggressore, è finita con la morte di entrambi. Eteocle è stato seppellito con tutti gli onori per volere del re Creonte, mentre Polinice, il nemico, è rimasto insepolto e la sua anima non potrà riposare. Antigone, sorella dei giovani morti e promessa sposa di Emone, figlio di Creonte, decide di sfidare quest’ultimo per dare sepoltura al fratello morto. L’altra sorella, Ismene, cerca di dissuaderla: è Creonte che stabilisce le leggi, e bisogna obbedire, ma Antigone è decisa a rendere onore al fratello. Creonte la condanna alla prigionia eterna, ma poi su consiglio di Tiresia, decide di liberarla. Troppo tardi: Antigone si è impiccata; Emone addolorato, si uccide; e alla notizia della morte del giovane anche la regina sua madre, Euridice, muore.

 

Antigone ribelle, Antigone dolente, Antigone eroica, Antigone martire, Antigone figlia, ma soprattutto Antigone sorella, che si oppone alla legge della città in nome dei diritti sacri della famiglia e del sangue. Da quando Sofocle ha messo in scena la figlia di Edipo nel suo confronto epocale con il re di Tebe Creonte, Antigone è stata elevata a modello della ribellione individuale contro la sopraffazione dello stato e raramente ha potuto abbandonare questo ruolo. Dovunque ci siano discriminazioni razziali, conflitti, intolleranze religiose, dovunque una minoranza levi la sua voce a reclamare giustizia, Antigone torna ad assumere il ruolo dell’eroina che sfida i regimi totalitari in nome di una pietas universale che “si estende dai fratelli di sangue a tutti gli uomini sentiti come fratelli, superando cosi ogni ethos tribale-nazionale”.

Ismene, la sorella, non ha la tempra di Antigone ed esita subito, ponendo ad Antigone una serie di domande e non promettendole di slancio il suo aiuto come la sorella sperava. Al contrario di Antigone, sarà proprio Ismene a ricordare ad Antigone che “le donne non sono capaci di tenere testa agli uomini” e che le donne “sono governate dai più forti” e che dunque è “loro dovere obbedire a questi ordini e ad altri ancora più ingrati”. Ismene è quindi consapevolmente sofferente per l’ingiustizia che stanno subendo, ma è priva di coraggio per reagire. Ismene conclude il colloquio con la sorella, definendo per due volte “impossibile” quanto la sorella ha in mente di compiere. Dopo il confronto con Antigone, Ismene viene condotta al cospetto di Creonte: sembra avere un sussulto di orgoglio, assumendosi la propria parte di responsabilità e chiedendo ad Antigone di “lasciarla morire, lasciarle venerare il morto insieme”. Quando infine Antigone viene condannata e portata via, Ismene nella sua pavidità può solo constatare: “che vita mi resta, sola, senza di lei?”. In queste parole c’è tutta la solitudine della vita che l’attende, senza nessun legame di sangue superstite e con il presunto disonore di appartenere ad una stirpe macchiata da orribili delitti.