Ciao Giuliano, inventore di sogni e di magnifiche utopie!

ultima modifica 14/07/2021 11:49
Se n'è andato Giuliano Scabia, poeta e uomo di teatro tra i più importanti del secondo Novecento. In queste righe il ricordo di Daniele Seragnoli

NARRATORE:

Marco Cavallo vola in Paradiso

poi sale sulla Luna insieme ai matti:

li porta l’Ippogrifo col sorriso

a ritrovare il senno soddisfatti.

IPPOGRIFO:

Marco Cavallo, prima in Paradiso

poi sulla Luna andiamo insieme ai matti:

io vi guido volando col sorriso

per risanare gli uomini disfatti.

 

Con questi versi si apriva il “Canto dell’Ippogrifo” per l’incontro tra il “rinato” corsiero ariostesco e il cavallo azzurro, il Marco Cavallo dei matti triestini (ma non solo) all’Alzheimer Fest di Treviso alla metà del settembre 2019.

È stata l’ultima volta in cui abbiamo incontrato Giuliano Scabia – uomo di teatro, scrittore e poeta, inventore e stimolatore di sogni e tanto altro ancora – che ora ci lascia, sulla soglia degli 86 anni.

Giuliano, uno dei padri di quel cavallo Marco nato nel manicomio di Trieste nella prima metà degli anni ’70 del secolo scorso, uno degli artisti invitato da un “folle” come Franco Basaglia a iniziare tramite l'espressività artistica l’opera di demolizione della disumana istituzione psichiatrica dell’epoca. È storia ormai nota, ma che andrebbe (va) sempre richiamata contro l’oblio e i torpori della nostra contemporaneità.

Giuliano, il cui legame col Centro Teatro Universitario e con Ferrara si era rafforzato negli ultimi anni, in particolare nell’ottobre del 2018 quando, al termine della mia prolungata direzione del Centro e della docenza universitaria attiva, ho realizzato uno dei sogni e progetti più a lungo accarezzati: portare quel cavallo azzurro a Ferrara, come emblema della riforma psichiatrica che in quello scorcio di ‘900 vide protagonista di primo piano anche questa città grazie al lavoro del basagliano Antonio Slavich insieme all’assessore Carmen Capatti e diversi altri, e come raffigurazione dell’impegno del CTU nel campo del sociale e dei molti corsi universitari sul teatro volto alla formazione e a un impegno pedagogico ad ampio raggio (disagio, carcere, emarginazione, ecc.).null

Giuliano, che aderì subito all’invito a collaborare, rilanciando immediatamente come era solito fare, “costringendo” tutti a un lavoro supplementare (quanto mai gradito).

L’azzurro cavallo Marco, fece notare, era sì solito viaggiare (quanti chilometri percorsi nei decenni…), ma doveva essere invitato ufficialmente. Mica era (ed è) un cavallo qualsiasi! D’accordo l’Università e le istituzioni pubbliche che partecipavano al progetto, ma Ferrara è stata (ed è) la città di un cavallo altrettanto simbolico: l’Ippogrifo nato dalla fantasia e dalla poesia di un altro matto diverso come Ludovico Ariosto.

Ed è così che, sotto lo stimolo e la guida del maestro Giuliano Scabia, l’Ippogrifo ha ripreso vita sul finire del 2018 dettandomi una lettera da inviare al Marco triestino per invitarlo a una festa solenne in suo onore: “per incontrare gente e amici che hanno contribuito alla tua nascita, per parlare delle tue avventure, e per ballare e imparare le tue canzoni e cantare con te: “Alla festa ci siamo tutti / Marco Cavallo canta per gli esclusi / alla festa ci siamo tutti”… Saremo presi per matti? Meglio… perché potremo ancora tirare fuori dalla tua 'pancia' desideri, sogni, utopie e gridare, come 45 anni fa: abbiamo imparato di nuovo che cosa vuol dire stare insieme a inventare…

“E questa è la liberazion / W la Rivoluzion”.

La risposta, dettata a Peppe Dell’Acqua altro “incallito” e straordinario basagliano, non tardò ad arrivare, e fu quella più attesa:

“Caro Ippogrifo,

la tua lettera non mi ha colto di sorpresa e il tuo invito mi ha riempito di gioia. Non mi ha colto di sorpresa perché mentre crescevo, mentre viaggiavo, mentre conoscevo il mondo, entravo nei luoghi più chiusi e orrendi che tu possa immaginare. Mi dicevano ‘Sei come l’ippogrifo!’ e io le prime volte non capivo chi fosse questo ippogrifo e la parola mi faceva un po’ paura. Non fosse stato per Giuliano, che mi ha raccontato tutta la storia, non avrei capito niente.

Tu sei andato sulla luna, hai portato Astolfo a cercare tra le cose perdute per riportare sulla terra il senno di Orlando e di tutti noi. Io sono nato, come sai, nel luogo dove la follia degli uomini veniva rinchiusa tra alte mura, la follia diventava malattia e gli uomini e le donne invisibili. Mentre nascevo gli internati in questi luoghi orrendi, mentre stavano diventando uomini e donne, hanno riempito la mia pancia dei loro sogni e della loro follia.

Non è stato facile uscire, ho dovuto abbattere cancelli, scontrarmi con sapientoni prepotenti e con le credenze più stupide che crescono nel mondo. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta.

Tu hai riportato sulla terra il senno perduto degli uomini ed io (quasi complice tuo) ho portato la follia tra gli uomini.

Il senno non può essere senno se non ha in sé la follia. Una società è quanto più democratica quanto riesce a trattenere in sé il senno e la follia.

Era ora che ci incontrassimo”.

Ma per rendere efficace lo scambio entrambi i cavalli dovevano essere fisicamente presenti, e per questo Antonio Utili, scenografo – a sua volta da decenni amico e collaboratore di Giuliano Scabia e mio – ha costruito appositamente un bell’Ippogrifo dorato e sfavillante che con l’azzurro Marco ha dato vita a una festa animando il centro storico di Ferrara, trainati in corteo tra narrazioni e canti che hanno coinvolto, come era nelle intenzioni, invitati e semplici passanti.

Ecco, Giuliano era questo: artefice dell’evento, accurato e rigoroso organizzatore, cantastorie, stimolatore e animatore, coinvolgente in tutto e per tutto, carico di energia, dal mattino a sera inoltrata, “puer aeternus”, ancorché ormai ultra ottuagenario in quell’ottobre 2018, 

Poi l’anno successivo, quando in occasione della festa di Treviso l’invito si è capovolto (ed è stato ben accolto da Giuseppe Lipani nuovo direttore del CTU), per un secondo incontro nella cornice del Parco di Sant’Artemio, un tempo sede dell’ospedale psichiatrico locale, e nelle vie del centro storico della città e nella Piazza dei Signori, sede conclusiva dei diversi eventi, per esclamare con le parole di Giuliano Scabia: «Oh! diamoci una mano, che tutti abbiamo bisogno di un po’ di conforto; e anche se qualcuno non si ricorda niente, stia qui, che gli diamo un bacio, una carezza e amore». Ancora il “puer aeternus” che in diversi luoghi del parco, all’interno di una chiesetta o in piedi su una sedia su un viale, ci aveva letto e narrato storie di esistenza e di “resistenza” con l’energia e la vena poetica di sempre.

Caro Giuliano, sei stato davvero così per tutta la tua vita, tenace e persistente fino a fare provare “rabbia” certe volte, ma sempre portatore di conforto e stimoli in tutte le tue azioni artistiche, nella tua scrittura, negli anni di insegnamento al DAMS di Bologna dal 1972 al 2005.

Altri diranno di te, della tua vita e arte e della tua scienza, ricorderanno i tuoi progetti e il tuo lavoro pluridecennale. C’è da augurarsi senza troppe approssimazioni e indebite appropriazioni, perché come si è svelti a salire sul carro del vincitore altrettanto lo si è saltare su quello del defunto, spero trainato dai due cavalli Marco e Ippogrifo i quali, sapendola lunga, saranno svelti a disarcionare gli intrusi. Il primo ricordo, alla notizia della tua scomparsa, è quello di Massimo Marino, uno degli importanti allievi della tua prima ondata damsiana, il quale ha ricordato lucidamente te e il tuo lavoro definendoti “poeta luminoso, inventore di teatro fuori dai ranghi, narratore fantastico” (https://www.doppiozero.com/materiali/ciao-giuliano-scabia-poeta-luminoso , 21 maggio 2021). Pagine critiche e non retoriche che c’è da augurarsi siano da esempio, e dalle quali è utile estrapolare almeno queste righe: “la poesia è stata sempre l’asse portante del suo operare, volto a indagare, con il ‘piede’, con il ritmo del corpo, con Orfeo e con Dioniso, il nostro stare sulla terra, l’interrogarci sulle grandi questioni della vita e della morte, con un sorriso, un cavallo di cartapesta, con molta delicata ironia che conosce le seduzioni del mondo e delle ideologie e cerca di tenersi attaccata, nei suoi meravigliosi voli, alla terra e alle persone”, tra suoni, vino e chiacchiere.

Così come risuonano lucidamente le pagine di Teresa Megale dedicate al "pifferaio magico", a un "poeta del teatro per indole e per versi, per attitudine e per filosofia" (https://drammaturgia.fupress.net/recensioni/recensione1.php?id=8125, 22 maggio 2021).

Dopo l’incontro di Treviso non ci siamo più visti né sentiti. Avevamo in mente altri progetti, avrei desiderato proporre almeno un altro viaggio di Marco Cavallo e Ippogrifo (a Imola, altra città simbolo della riforma psichiatrica). Poi l’emergenza sanitaria attuale e altro hanno interrotto il dialogo. Ma lo immagino solo sospeso, non chiuso definitivamente.

Tre ricordi personali, infine.

Il primo incontro nella primavera del 1972, quando Giuliano Scabia chiamato a insegnare Drammaturgia al DAMS di Bologna si presentò “teatralmente” con una animazione rivolta a un piccolo gruppo (e fui fortunato a essere presente nell’occasione) con il suo furgone viaggiante dell’epoca parcheggiato in una stradina laterale alla sede storica di Strada Maggiore. Un artista, invitato a essere docente, non poteva che mostrarsi così, in una maniera più efficace di una pur dotta conferenza, coinvolgendo anche i passanti. Attoniti ma per nulla disturbati. Anzi…

Poi molti anni dopo una serata nella casa di Claudio Meldolesi (altra colonna portante di quel DAMS, scomparso troppo presto), quando Giuliano offrì a lui e ad alcuni ospiti una sua narrazione fantastica come dono all’amico risanato dopo un ricovero ospedaliero.

Ho motivo di ritenere quella serata, al di là dell’occasione e dell’evento, un momento importante per rimarcare la natura del DAMS delle origini e dei primi due decenni almeno, al di là di ogni intento celebrativo odierno: l’incontro tra le due “anime”, come venivano definite, quella storico-teorica degli studiosi (nel cui ambito mi stavo formando), e quella pratico-operativa del fare, dell’agire, della sperimentazione e del laboratorio. Osservate spesso in contrapposizione, come schieramenti parlamentari diversi, anziché vederle felicemente integrate con un unico fine, quello della formazione non casuale e innovativa degli allievi dell’epoca (come in fondo era nelle intenzioni e intuizioni di Benedetto Marzullo, principale artefice del DAMS bolognese) e, perché no, anche di studiosi e docenti: altri tempi, altri climi culturali e sociali, intrisi anche di felici utopie. Una utopia che, si passi l’ossimoro, sembrava prendere concretezza in quella serata a casa Meldolesi, con il benaugurante incontro tra uno dei principali maestri della “storia” del teatro e un maestro del “fare” e del “creare”. Non necessariamente campi contrapposti, anzi proprio il contrario.

Infine, da ultimo, la partecipazione di Giuliano Scabia al Caregiver Day presso il CTU nell’ottobre 2016 con un intervento intitolato “Gli Angeli Assistenti e l’azione perfetta”, che naturalmente non poteva essere e non fu una “normale” conferenza, trasformandosi invece in un’azione con letture dal suo più recente impegno letterario (L’azione perfetta, appunto), una camminata su e giù per la tribuna della sala distribuendo  ai partecipanti con gesto accurato un cartoncino-biglietto da visita con la riproduzione del disegno originale sulla copertina e versi invitanti alla lettura del libro, ma validi soprattutto come monito: “Giovani donne ferite da Amore / che della mente cercate la cura / per lenire qualche interno dolore / ascoltate di Sofia l’avventura. / In forma di romanzo e di ballata / Sofia si prova a vincere la morte. / Chi è l’amore? Che cos’è la morte? / D’amore e vita inizia la cantata”.

Ancora il “puer aeternus” che da ultimo diede un’ennesima prova del suo tendere la mano e offrire conforto quando una delle anziane ospiti che aveva partecipato al laboratorio “Il teatro e il benessere”, condotto da Michalis Traitsis presso il CTU, estrasse una pagina da leggere pubblicamente. A., questa l’iniziale, ormai su una sedia a rotelle, fu sollecitata da Giuliano ad alzarsi e a volgersi agli spettatori, ma senza l’aiuto di alcuno, come invece sembrava necessario a tutti. E A. ci riuscì, con Giuliano al fianco, attento e sorridente ma senza sostenerla.

Caro Giuliano, sei stato e rimarrai un poeta, un artista, un intellettuale, un sognatore, un inventore di idee e di immagini, non un santone o un “re taumaturgo”. Ti sei preso cura degli altri e hai "curato" con l'arte, con i sogni, con angelica "eresia".

Anche con quel gesto nei confronti di A. ci hai ancora insegnato che “anche se qualcuno non si ricorda niente, stia qui, che gli diamo un bacio, una carezza e amore”.

Ci hai educato ad avere fiducia e rispetto, verso gli altri e verso se stessi: per “alzarsi in piedi” e “camminare insieme", affiancati.

Grazie per tutto questo, e per averci educato a sorridere, a cantare e a “cavallare”, come intonavano i matti del Padiglione P di Trieste.

Con l’augurio che la follia, la “mattisia” come si dice dalle mie parti natìe, in Romagna, resti entro di noi a farci vedere tramite l’arte, la tua arte, diversamente le cose del mondo.

Daniele Seragnoli

Ferrara, 22 maggio 2021

 
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