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Fibrosi cistica | Un farmaco anti-infiammatorio per correggere gli errori genetici. Il nuovo progetto a guida Unife

17/02/2021

Scienza, cultura e ricerca

Fibrosi cistica | Un farmaco anti-infiammatorio per correggere gli errori genetici. Il nuovo progetto a guida Unife
In una foto del 2019, le ricercatrici Unife Chiara Tupini, Elisabetta D’Aversa, Ilaria Lampronti (PI del progetto) e Lucia Carmela Cosenza.

La fibrosi cistica è la malattia genetica più diffusa in Italia. Le persone che ne soffrono subiscono gravi danni soprattutto ai polmoni, alle vie respiratorie e all’intestino, per via della iperproduzione di un muco denso che limita l’attività degli organi e diventa terreno fertile per numerosi agenti patogeni. 

Fino a pochi anni fa chi nasceva con questa malattia non raggiungeva l’età scolare. Oggi l’aspettativa di vita è migliorata, grazie all’affinamento della diagnosi e dei trattamenti farmacologici, e si stima essere attorno ai 40 anni. La strada per sconfiggere la fibrosi cistica, però, è ancora lunga.

“Le cure a cui i pazienti si sottopongono oggi sono basate sull’utilizzo di farmaci che agiscono sui sintomi: anti-infiammatori classici steroidei e non steroidei, antibiotici per combattere le infezioni polmonari e agenti che fluidificano le secrezioni. La ricerca sta cercando di individuare nuove strategie non solo per affrontare i sintomi ma anche per curare la malattia”.

A parlare è la Professoressa dell’Università di Ferrara  Ilaria Lampronti che, grazie a un finanziamento della Fondazione per la ricerca sulla Fibrosi Cistica (FFC), sta studiando alcune nuove molecole di sintesi che potrebbero esercitare un’azione anti-infiammatoria e, contemporaneamente, correggere la mutazione più diffusa che causa la malattia.

Ilaria Lampronti in laboratorio

La professoressa Ilaria Lampronti nel suo laboratorio

La strategia: agire “alla radice” del problema

L’insorgenza della fibrosi cistica è determinata da diverse mutazioni del gene CFTR (Cystic Fibrosis Trandmembrane conductance Regulator). La proteina codificata da questo gene è coinvolta nel trasporto degli ioni cloro nei tessuti, un’attività legata alla produzione di secrezioni negli organi.

“Quando si verificano le mutazioni sul gene CFTR, le funzioni di trasporto degli ioni cloro della omonima proteina diminuiscono o si perdono. Di conseguenza, si ha una alterazione delle secrezioni: si disidratano, appaiono più dense e viscose e contribuiscono al danneggiamento dei tessuti” spiega la Professoressa Lampronti.

Ed è proprio questo il meccanismo al centro dello nuovo studio Unife: la molecola anti-infiammatoria che sarà testata potrebbe essere in grado di correggere il difetto causato da alcune mutazioni sul gene CFTR tra cui la più diffusa, la mutazione ΔF508. 

“Vorremmo testare il nuovo derivato anche su colture primarie derivate da pazienti e approfondire gli aspetti farmacologici, necessari per pensare a un eventuale e sperato trasferimento tecnologico futuro”  aggiunge la Professoressa.

attività di ricercA sotto cappa

Un momento dell'attività sperimentale che si svolge nella Sezione di Biochimica e Biologia molecolare del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie di Unife

La nuova molecola, individuata grazie alla collaborazione tra enti 

Il potenziale farmaco è stato selezionato alla luce dei risultati ottenuti con diversi studi in vitro, eseguiti su dei modelli cellulari di fibrosi cistica, e in vivo, su un modello murino sviluppato in collaborazione con il gruppo di ricerca della dottoressa Alessandra Bragonzi del San Raffaele di Milano. 

“Si tratta di un derivato psoralenico di ultima generazione, analogo della trimetilangelicina, sintetizzato nei laboratori di ricerca della Professoressa Adriana Chilin dell’Università di Padova, partner in questo studio” chiarisce Ilaria Lampronti. 

La molecola, che ha dimostrato di possedere una spiccata attività anti-infiammatoria, interferisce con la via molecolare di uno dei principali attori dell’infiammazione, il fattore di trascrizione NF-kB: 

“Bloccando la via di NF-kB, la molecola inibisce l’espressione di fattori pro-infiammatori come le interleuchine IL-6 e IL-8, marcatori caratteristici della malattia, e atre citochine, chemochine e fattori di crescita coinvolti nell’infiammazione” spiega la Professoressa Lampronti. 

L’effetto anti-infiammatorio è stato confermato anche in vivo in modelli di infiammazione scatenata da infezione con il batterio Pseudomonas aeruginosa, uno degli agenti patogeni che più frequentemente attacca il sistema respiratorio dei pazienti e che difficilmente è possibile eradicare. 

Fondamentale, infine, anche la collaborazione del Professor Giulio Cabrini e delle Dottoresse Maria Cristina Dechecchi e Anna Tamanini dell’Ospedale Civile Maggiore di Verona:

“Come si sperava, il derivato è risultato essere anche un correttore della funzione del canale CFTR privo di effetti “collaterali” potenzialmente dannosi. Non sono stati individuati effetti pro-apoptotici, mutageni e fototossici in vitro e le analisi istopatologiche hanno dimostrato che è privo di tossicità nel modello di infiammazione utilizzato”, precisa la Professoressa Ilaria Lampronti.

Il ruolo della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica (FFC)

Il progetto "valutazione multitasking di analoghi della TMA come agenti antinfiammatori per il trattamento della fibrosi cistica" (FFC#22/2019), di cui la Profofessoressa Ilaria Lampronti è stata coordinatrice e la Professoressa Adriana Chilin partner, è l’ultimo di una serie di grant della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica volti allo studio della trimetilangelicina (TMA), tra cui vanno citati i progetti della Professoressa Chilin (FFC#1/2016) e del Professor Roberto Gambari (FFC#3/2016).

L’identificazione della trimetilangelicina (TMA), il suo perfezionamento e la riduzione della sua tossicità, nasce in un interessante crocevia tra due linee fondamentali della ricerca promossa e finanziata dalla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica onlus: l’infiammazione e il difetto di base della malattia, che ha dato risultati molto promettenti anche per quanto riguarda altre molecole innovative.

L'importanza di questo ultimo studio è data dall’azione di un unico composto derivato da TMA sia sull’infiammazione, una delle principali complicanze della malattia, sia sulla proteina difettosa, conseguenza della mutazione del gene CFTR, in particolare la mutazione F508del, che è la più frequente.

"Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica si augura che la nuova molecola concluda il percorso di ricerca preclinico – dichiara Graziella Borgo, neodirettore scientifico FFC - per approdare a quello clinico e portare un innovativo contributo terapeutico alle persone con questa malattia".

Oltre al contributo di Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica (FFC), che in 10 anni ha elargito più di 300 mila euro per promuovere questi studi, il progetto è stato finanziato anche grazie a Fondi di Ateneo per la Ricerca.



Per saperne di più



A cura di CHIARA FAZIO