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Covid-19 e anziani | Il ruolo chiave del sistema immunitario

26/06/2020

Scienza, cultura e ricerca

A rendere le persone anziane più vulnerabili all’infezione del nuovo coronavirus sarebbe anche lo specifico assetto del loro sistema immunitario. Con l’avanzare degli anni infatti il sistema immunitario, normalmente deputato alla difesa del nostro organismo, accumula alterazioni che rendono più blanda la capacità di rispondere agli attacchi di agenti patogeni, come i virus.

 

In uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica GeroScience - Journal of the American Ageing Association un team di scienziate/i dell’Università di Ferrara analizza quali alterazioni legate al fenomeno dell’immunosenescenza (cioè all’invecchiamento delle cellule del sistema immunitario) potrebbero aver inciso sulla drammaticità del COVID-19.

“Fin dall’inizio dell’epidemia è emerso in maniera chiara che il virus SARS-Cov-2 colpisce più duramente gli anziani, in particolare con un più alto tasso di mortalità. Dal momento che il focus scientifico del nostro gruppo di ricerca è proprio lo studio del sistema immunitario negli over-65 abbiamo pensato di analizzare le possibili cause del fenonemo” spiega il Riccardo Gavioli, professore del Dipartimento di Scienze Chimiche e Farmaceutiche.

Infatti, già dal 2019, il team del professor Gavioli lavora a Unife al progetto VITAL, finanziato dalla Comunità Europea con l’obiettivo di identificare e ottimizzare nuove strategie di prevenzione vaccinali delle malattie virali rivolte agli over-65.

 

“Nel caso del coronavirus, oltre alla presenza di comorbidità, cioè di altre malattie che aggravano il quadro clinico, negli over-65 anche lo stato di “anzianità” delle cellule immunitarie può giocare un ruolo cruciale” a parlare è Francesco Nicoli, ricercatore del gruppo e primo autore dello studio.

“Le cellule senescenti, o anziane, producono diversi mediatori dell’infiammazione che  contribuiscono alla creazione di uno stato basale iper-infiammatorio della persona anziana. Questo stato potrebbe aggravare notevolmente il quadro clinico dei pazienti ” chiarisce Nicoli.

Ma c’è un altro aspetto da considerare, come spiega Antonella Caputo, professoressa del Dipartimento di Scienze Chimiche e Farmaceutiche e autrice dello studio:

“Quando l’organismo umano viene in contatto per la prima volta con un nuovo agente patogeno, come il virus SARS-CoV-2, ad attivarsi per la “difesa” è una specifica popolazione di cellule, definiti linfociti T naïve. Purtroppo, il numero dei linfociti T naïve diminuisce con l’età, raggiungendo livelli molto bassi negli anziani”.

Nell’articolo le/gli scienziati riportano alcune evidenze a supporto di questa osservazione. Ad esempio, il fatto che i pazienti con infezione da SARS-CoV-2, ma anche infettati da altri virus della stessa famiglia (come MERS-CoV e SARS-CoV-1), con manifestazioni gravi presentano una marcata perdita di questa popolazione cellulare, e il miglioramento delle loro condizioni cliniche coincide con la “normalizzazione” del numero di linfociti T.

“La progressiva diminuzione dei linfociti T naïve con l’età è legata all’invecchiamento del timo, la ghiandola dove hanno origine le cellule del comparto immunitario” chiarisce la professoressa  Caputo.

“Riteniamo che le cellule del sistema immunitario possano essere un ottimo punto di partenza per lo sviluppo di strategie preventive efficaci contro le infezioni da parte di “nuovi” agenti patogeni, come il coronavirus” conclude il professor Riccardo Gavioli.

 

Gli autori dell’articolo sono Francesco Nicoli, Maria Teresa Solis-Soto, Deepak Paudel, Peggy Marconi, Riccardo Gavioli, Victor Appay, Antonella Caputo. 

Il lavoro originale è pubblicato come letter sul Journal of the American Ageing Association: Age-related decline of de novo T-cell responsiveness as a cause of COVID-19 severity.

Per saperne di più:

Vaccini e anziani | Unife studia nuove strategie per migliorare la qualità della vita.

di CHIARA FAZIO