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Sport e Università | Intervista a Luna Tagliazucca, studentessa Unife e professionista del softball

29/04/2021

Persone

Non ricorda un solo momento della sua vita in cui scuola e sport non siano coesistiti. E anche oggi, che frequenta il corso di Biotecnologie Mediche dell’Università di Ferrara, Luna Tagliazucca porta avanti il suo impegno professionale nel mondo del softball.

Già, perché Luna, tra lezioni universitarie ed allenamenti, è arrivata fino alla serie A2 insieme alla sua squadra, il Softball Rovigo.

In questa intervista ci ha raccontato con solarità e gentilezza cos’è il Softball, e cosa significhi per lei dedicarsi con passione a uno sport, e allo stesso tempo frequentare un corso universitario.

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Cara Luna, partiamo dal softball: uno sport non molto conosciuto, forse, ma che ti ha decisamente conquistata. Ci racconti com’è nata la tua passione?

“Mi sono avvicinata al softball perché è lo sport di famiglia: mia mamma ci ha giocato fin da piccola, seguendo l’esempio di suo fratello (mio zio). Era molto brava, ed è entrata in Serie A all’età di 14/15 anni. 
Un giorno  un suo amico la invitò a portare me e mia sorella Asia, più piccola di tre anni, al campo a provare. Avevo circa 6 anni. Tornata a casa dalla prima volta, mi disse che saremmo potute tornare anche la settimana successiva. Io però le risposi che avrei preferito tornare la mattina seguente! Da quel momento è stato amore eterno, non ho più smesso.”

Come funziona questo sport?

“Per dare un’idea generale del gioco, vediamo in campo due squadre composte da 9 giocatrici ciascuna. Durante l'attacco, che è la famosa azione in cui con la mazza si prova a colpire la pallina, la difesa, con tutte e 9 le giocatrici contemporaneamente in campo, cercano con diversi schemi di gioco di non far fare il punto all’altra squadra. Se ad esempio l’avversaria riesce a colpire la pallina passando successivamente per la prima, la seconda, e la terza base tornando a casa base, ottiene il punto. Tuttavia, mentre corre da una base all'altra, può essere eliminata.”

Ci racconti la tua giornata tipo, tra lezioni e allenamenti?

“Mi sveglio alle 7:30 e faccio una buona colazione, perché so che la mia giornata sarà molto lunga! Poi mi dedico all’università, cerco di portarmi avanti o di recuperare se ho lasciato indietro qualcosa. Seguo le lezioni fino a mezzogiorno e mezzo circa, poi pranzo, mi preparo e raggiungo la stazione con la bicicletta, che carico sul treno destinazione Rovigo. Arrivo al campo in bici, e faccio allenamento tecnico o palestra.
Per 3 giorni alla settimana prima del mio allenamento, alleno le bambine e i bambini. Anche questa è una passione che mi ha trasmesso mamma, perché anche lei è allenatrice. Un giorno mi hanno detto: “Perché non provi a fare il corso?” e l'ho fatto subito. Pensavo fosse fine a se stesso, perchè ero al quinto anno di superiori e credevo non avrei avuto tempo da dedicarci. Invece, anche il giorno prima della maturità ero al campo con i bimbi: mi danno leggerezza e vedere i loro sorrisi una volta usciti dal campo mi scalda il cuore”

E a che ora torni a casa?

Ehm... il lunedì e il mercoledì torno a casa per le 21 di solito. Invece gli altri giorni finisco allenamento tra le 21 e le 21:30, quindi arrivo a Ferrara alle 22 passate.
Se mi provocasse stress, non lo farei. Ma lo sport mi appaga e mi rende felice, quindi torno a casa stanca ma lo faccio volentieri”.

Come ti trovi all’ Università di Ferrara?

“Bene! All'inizio avevo timore perché eravamo veramente in tanti, poi però il numero è andato a scemare. Penso che per la mole di persone - tra studenti, insegnanti e tutto il personale - l'Università di Ferrara sia ben organizzata”.

Per quale motivo hai scelto Biotecnologie mediche? Hai già un'idea di cosa farai da "grande"?

“Ho fatto il liceo delle scienze applicate ed era frequente fare esperienze di laboratorio. E' stata decisiva un'attivtà di alternanza scuola-lavoro in un laboratorio di biotecnologie a Bologna. Mia madre mi fece notare che in quel periodo tornavo a casa con gli occhi luccicanti… in effetti ero davvero entusiasta. Ho poi completato le ore di stage in un laboratorio Galenico di una farmacia, ed ho capito che volevo fare quello, volevo lavorare in un laboratorio che fosse biomedico o farmaceutico, comunque in quell’ambiente.
Guardandomi un po' attorno, Biotecnologie sembrava la cosa che calzasse a pennello per me, e l'anno in cui mi sono iscritta a Ferrara iniziava il corso di Biotecnologie mediche: mi sono lanciata e me ne sono innamorata!
Ora non so ancora cosa farò nel futuro. Mi piacerebbe fare la magistrale di Biotecnologie farmaceutiche, ma mi sembra una scelta ancora molto lontana (anche se so non lo è), soprattutto per via del covid.”

Conciliare sport e studio è complicato o l'uno é importante per spronarti nell'altro?

“Non ricordo un momento della mia vita in cui ho fatto solo la scuola, addirittura alle medie studiavo anche uno strumento, la chitarra. Poi ho iniziato a giocare a Trento, e con il viaggio di mezzo non riuscivo più a dedicarci il tempo che avrei voluto. Ho dovuto fare una scelta e ho scelto lo sport.
Penso che lo sport cambi la mentalità. Nell’affrontare le difficoltà con più consapevolezza ad esempio o nell'essere organizzati. Avendo le ore, anzi, i minuti contati, ad esempio, so che devo darmi degli orari per studiare. Per carità, anch’io ho delle giornate “no” in cui non apro il computer e non trovo la voglia. Ma credo che senza lo sport non sarei mai stata in grado di organizzarmi in questo modo.”

Cosa pensi ci sarebbe in te di diverso, se non avessi fatto sport?

“Io sono tuttora abbastanza timida ma, ecco, da piccola non ero quella bambina che al parco veniva e ti chiedeva di giocare. Invece facendo uno sport di squadra sono stata obbligata ad andare d'accordo anche con le altre persone. L’aprirmi con gli altri penso sia in buona parte merito del softball.”

Sei una voce che può essere importante per chi ci legge. A chi porta avanti parallelamente più attività: studio, sport, lavoro, impegni familiari, problemi personali e così via. Nei momenti in cui sembrano venir meno le forze, cosa diresti?

“Io nei momenti di sconforto mi prendo un momento per cercare di calmarmi e di metabolizzare il problema, che può essere perdere una partita più o meno importante, o un esame non andato bene. 
Cerco di capire quello che è accaduto, poi mi guardo allo specchio e dico: ok è passato, ricominciamo. Nel passato non possiamo tornarci, così come non possiamo controllare il futuro. L’unica cosa che possiamo fare è decidere come agire nel presente per migliorare la situazione. 
Perciò il consiglio che mi sento di dare è quello di non piangersi addosso e guardare sempre avanti”.

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A cura di Giulia Ferretto, tirocinante del corso di Scienze e Tecnologie della Comunicazione di Unife